La neve di oggi e il suo battibecco con la penna di certo D. F. P.

1) Un altro mezzo metro di neve. Le nevicate di ieri sera col sopraggiungere della notte sono continuate, magno cum gaudio, per quanto non proprio a larghe falde ma pur sempre con zitellesca e pettegola insistenza. Questa mattina il manto nevoso dava di sé un’impressione di pesantezza e consistenza, di qualcosa insomma di reale e non di pura messinscena, come si sarebbe preferito che fosse. Ci siamo perciò dovuti rassegnare a restare in casa o uscire solo per dedicarsi allo sgombero della neve, reso più fastidioso dal fatto che, nel frattempo, il maltempo non sostava; e non si può certo spalar neve tenendo in una mano un ombrello. Per noi di Coi e Col, come per altri paesi quali Brusadaz, Costa, Soramaè e probabilmente Iral, solo per accennare alla parte alta della Val di Zoldo, quella che storicamente è detta La Capéla («La Cappella» [di San Nicolò]) è stato persino impossibile mettersi in strada per andare alla S. Messa. Non ho potuto farlo neppure io sacerdote, pur sapendo che oggi è domenica. Le strade, rese scivolose dalla neve sciroccosa, erano veramente pericolose e in questi casi le catene, di cui c’è assoluto obbligo, non sempre risultano sufficienti per una tenuta sicura; e, poi, in ogni caso, come fare i tratti a piedi? In alta montagna possono succedere anche di questi contrattempi; è sempre stato, per quanto negli ultimi anni giornalisti dalla cultura storica traballante qualifichino ogni starnuto imprevisto del cielo come «un fatto che non s’era mai verificato». C’è chi assolve il precetto festivo recitando il rosario, in casa (in camera, in stua, in cucina…), da solo o con qualche familiare, o assistendo alla S. Messa trasmessa da qualche canale televisivo; ma oggi quassù anche i ripetitori funzionavano a singhiozzo. Mi è stato raccontato, già qualche decina d’anni fa, che nella parte alta della valle del Biois, in Agordino, in casi simili a quello d’oggi le persone d’una famiglia o di una casa si sedevano sulle panche nei pressi delle finestre volte alla chiesa parrocchiale e, in quella posizione, si sentivano anche fisicamente presenti lì dove non era stato loro possibile andare con il corpo; un escamotage semplice, all’apparenza banale, ma significativo, rispettabile e imitabile, se del caso.

2) Un ciuffo d’aria inquieta e adolescenziale m’ha raccontato questo pomeriggio che c’è stato un battibecco tra le neve e la penna d’uno sconosciuto scrittore, il cui nome teniamo rispettosamente nell’anonimato pur svelando che le sue iniziali sono D. F. P. Ebbene, costui, per la ben nota ingenuità che lo contraddistingue, stava per scrivere in certi suoi brogliacci una frase del genere: «La neve continua a cadere». E fu in quel momento che un ticchettio inatteso gli fece alzare lo sguardo e volgere il viso alla finestra, dove gli parve materializzarsi e subito scomparire quel ciuffo d’aria, a forma d’un riccio di luce o d’un punto interrogativo capovolto; e, nello stesso tempo – il che gli fece un po’ di sangue freddo nelle vene – ebbe l’impressione che una voce, come uno scricchiolio di gelo che si stacca dal vetro al terzo raggio di luce del mattino, gli dicesse: «Eh, basta con questo cadere della neve!». E subito dopo: «È mai possibile che voi umani siate così limitati da intendere tutto ciò che va dall’alto al basso come una caduta? Del seme che il contadino getta tra le zolle del campo, col pugno e il braccio robusti, non potreste dire che esso si sparge? E quando scivola tra una fenditura e l’altra delle zolle, non potreste dire che s’incorpora? E della neve che s’adagia al suolo? E una foglia scivola a terra? E una pietra si riversa? E di una persona che le vengono meno le forze, senza attardarsi in quel materialistico cadere? E, se proprio non si solleva oltre, non potreste dire che viene meno, semplicemente? E se sono eroi della loro Patria, perché non parlate di Immolati anziché di Caduti?». Mi dicono che il nostro scrittore, immobile e guardingo come un gatto che chieda una carezza o che lo si lasci in pace, continuava a fissare il punto del vetro nel quale il riccio cominciava ad apparirgli come il gesto d’un marameo sulla punta del naso, mentre con la penna, alzata a giusta altezza, se ne stava incerto tra l’avvicinarsi e l’allontanarsi dal vetro. Finché si accorse che gli cadevano le palpebre e, per non essere costretto ad ascoltare un altro predicozzo, pensò bene di coricarsi e di socchiuderle fino al punto in cui già scivolavano da sole!

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