RUBINI, Il Venetico. La lingua del più antico Popolo d’Europa. II su 2

Del dott. Edoardo Rubini

Al lettore: in viaggio alla scoperta dei Veneti antichi

Immaginiamo di metterci in viaggio alla scoperta dei Veneti antichi.  Di solito, nel trattare le origini di questo popolo, si prendono in considerazione frammentari passi letterari: è noto il racconto di Tito Livio sulle peregrinazioni, successive alla guerra di Troia, di una stirpe di Veneti, dall’Asia Minore fino alla Laguna Veneta, sotto la guida del leggendario Antenore.

Eppure, da parecchio tempo disponiamo di un immenso patrimonio archeologico da analizzare; questa ricchezza storica è però non solo ignorata dalla quasi totalità del nostro popolo, ma è anche lasciata in penombra dalle istituzioni culturali e di istruzione che dovrebbero occuparsene.

Un’approfondita rilettura dei Veneti antichi tramite apporti di altre discipline scientifiche non emargina di per sé la rilevanza delle fonti classiche, ma sposta il fulcro della ricerca sul ben più vasto scenario di una massiccia civilizzazione, avvenuta a livello continentale.

L’espansione dei Veneti in Europa non può spiegarsi con una migrazione sporadica; l’esame dei reperti più antichi consente di comprenderne l’etnogenesi a partire dall’Eneolitico e di individuare la loro sede primigenia nel cuore dell’Europa. L’analisi archeologica ne individua le origini nella Civiltà di Lusazia, centro di irradiazione di un nuovo rito funerario: l’incinerazione.  Era una nuova concezione religiosa, dai fecondi esiti artistici, a marcare dunque la presenza dei Veneti sul territorio, divenendone il principale fattore distintivo.

Benché questa analisi fosse emersa già nell’800, gli studi di Matej Bor, Jožko Šavli e padre Ivan Tomažič, qui illustrati come trattazione scientifica di riferimento, hanno dato, come mai prima, spessore scientifico alla conoscenza dei Veneti antichi.  La questione del linguaggio usato nelle circa 400 iscrizioni diffuse nel comprensorio alpino-adriatico è preponderante, perché offre precisi riscontri. Analizzando tali segni grafici incisi su pietra, ceramica, ossi e lamine bronzee, ci si imbatte nella “lingua venetica”: capirne la natura significa penetrare il mistero delle origini dei Veneti.

Il presente saggio non è un trattato di linguistica, ma mette il Venetico al centro dell’indagine sulle origini dei Veneti.  Il primo paragrafo è dedicato alla loro evoluzione nella Protostoria. Segue l’analisi della loro espansione territoriale; tale tema ne incrocia un altro di analogo, che è la diffusione del nome etnico “Veneti”.  Un aspetto particolare riguarda la denominazione in un primo tempo usata dagli archeologi al posto di “Veneti”, ovvero quella di “Illiri”. L’espansione territoriale suscita, poi, l’affascinante capitolo della Via dell’Ambra. Un altro fattore etnologico trattato riguarda il tiglio, albero sacro dei Veneti.

Abbiamo, in seguito, esaminato gli influssi nazionalistici che possono aver distolto la considerazione generale dall’importanza dei Veneti antichi nella storia. Poi, si è svolta la distinzione tra i nomi etnici di Veneti e Slavi. Segue un breve excursus sulla Romanità, la quale non rimosse l’identità veneta.

Si viene, poi, al tema centrale: viene spiegato, attraverso casi esemplificativi, il metodo linguistico che permette di decifrare le iscrizioni venetiche, elaborato da Matej Bor. Chiudiamo con un’illuminante rassegna di toponimi locali non traducibili mediante il Latino, di derivazione venetica.  Il nostro viaggio è ora giunto a destinazione: il mondo dei nostri antenati ci ha aperto le porte e ormai ne facciamo parte!

Un estratto del testo si trova all’indirizzo: http://www.carantha.com/il_venetico__la_lingua_del_piu_antico_popolo_d_europa_.htm

Documentazione iconografica

Placchetta bronzea finemente  decorata da Lagole di Calalzo, dove sorgeva il famososantuario presso il “lagheto dele toxe”. Il cavallo aveva un significato simbolico portentoso tra i Veneti, connotando sia lo status sociale, sia le tecniche belliche, sia l’aspetto economico, ma soprattutto l’elemento religioso, rituale e spirituale. Notevoli le sepolture di cavalli in prossimità di deposizioni funerarie umane. Matej Bor scoprì dalle iscrizioni che le acque sananti solforose del posto servivano non solo a guarire gli uomini, ma persino i cavalli. Sulla lamina rappresentata è incisa l’iscrizione Ca 14 “kello spitamnikos toler trumuskatei donom”, che Bor traduce così: “Quando l’avrai domato, recati presso Tromožej con un dono”. Tromožej è tuttora una divinità celebre presso gli Slavi, infatti vuol dire letteralmente “tre uomini”, quindi si tratta di una trinità analoga a Triglav (letteralmente “dalle tre teste”) divinità guerriera, il cui simbolo era una lancia legata ad un palo. Triglav è spesso rappresentato in sella a un cavallo nero, utilizzato per la divinazione nel suo tempio. Le teste di Triglav indicano che regnava su tutti e tre i regni: il cielo, la terra e gli inferi, cioè l’Oltretomba (Prav, Yav e Nav). Alcuni sacerdoti affermavano che Triglav aveva una benda sopra gli occhi per non vedere i peccati della gente, inoltre i suoi occhi possedevano un grande potere. L’unione delle tre dimensioni era simboleggiata da una montagna o da un albero, come Axis mundi, in quanto il Triglav era il summus deus. Nei dintorni di Szczecin, in Polonia esistevano diversi templi e statue dedicati a Triglav che vennero distrutti ai tempi della cristianizzazione.

A Camìn di Padova è stata rinvenuta questa stele funeraria, con una scritta con il verso sinistrorso. C’è scritto in Venetico “puptnei  jego  raco  jekupetaris”, trascrizione quasi letterale dello Sloveno “popotniku  njega  raco  za  na  pot”, cioè “al viandante la sua anatra per il viaggio”. Oltre a coincidere in modo sorprendente con l’analoga frase in Sloveno, la scena rappresentata è proprio quella di commiato descritta dalle lettere incise: infatti, l’anatra è offerta al defunto in segno dell’anima che deve trasmigrare nell’Aldilà.  L’iscrizione descrive due cose visibili nella scena con parole uguali allo Sloveno: l’anatra (ràco) ed il viandante (popòtnik).  All’Università di Padova, invece,  credono ancora che l’iscrizione sia una dedica a tale “Pupone”, persistendo i glottologi di laggiù nell’ignorare le lingue slave.

Questo straordinario reperto è esposto al Museo di Este.  Risale alla prima metà del IV secolo a.C.; fu rinvenuto nel 1979 nell’area dell’ospedale civile della città atestina, ripiegato per lungo, sicché si ipotizzò allora che fosse stato riusato per altri scopi, forse come schiniere.  La tavola bronzea ricomposta presenta un’ordinata scritta a spirale in senso orario, la più lunga tra quelle in lingua venetica.  Matej Bor scomparve prima di poterla esaminare.  Per implicita ammissione dei docenti patavini, sarà difficile che se ne tragga un senso compiuto; sarebbe quindi auspicabile l’intervento di filologi esperti in lingue slave occidentali.

Reperti custoditi al Museo di Ascoli e al Museo Nazionale Romano: sono tre missili con su incise delle iscrizioni, eseguite da mercenari venetici combattenti nelle guerre sociali a fianco dei legionari del console Gneo Pompeo Strabone nella battaglia di Ascoli dell’89 a
.C.  L’assedio alla città di Ascoli Piceno durò due anni: vi parteciparono frombolieri opitergini, come fanteria d’appoggio a Roma, avversa alla Lega Italica.  I frombolieri portavano una borsa a tracolla con proiettili di pietra, argilla o piombo, pesanti fino a 50 grammi
, capaci di sfondare un elmo.  Si usava decorare tali ogive con una dedica, nel caso scrivendo la località di provenienza.  Ciò costituisce un prezioso esempio di toponomastica redatta dagli stessi Veneti antichi: su due missili scrissero “Oderzo” in Venetico (con scrittura sinistrorsa), nel terzo caso usarono caratteri latini (con scrittura destrorsa).  Ciò comprova l’esattezza delle radici etimologiche individuate nell’analisi linguistica di Matej Bor: Opitergium deriva, infatti, da Trg (= piazza, mercato in Sloveno), la radice etimologica è “ob-trg“, cioè vicino al mercato, il quale doveva trovarsi da qualche parte sulla via Postumia.

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P.S. Si veda anche l’articolo di Ettore Beggiato al link: http://baliatodaicoi.altervista.org/beggiato-un-importante-libro-sui-veneti-gli-autori-sono-tre-sloveni/

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