DON FLORIANO, Continua l’impressionante scristianizzazione della val di Zoldo

Gli allora sagrestani della chiesa di Fusine con don Gianfranco Slongo.

Continua, e a spron battuto, la scristianizzazione della valle di Zoldo. Se ne avevano avuto i primi sintomi una trentina d’anni fa; ora si è in caduta libera, senza avere la minima idea di quando e come essa si arresterà.

Di otto parroci, ne è rimasto uno solo, pur con tre cappellani, ma ultrasessantenni e con problemi di salute e di mobilità.

Sono stati chiusi tutti e quattro gli asili parrocchiali: di Fusine, Dont, Goima e Pieve. Delle quattro comunità di suore prima presenti in valle, resta appena il ricordo. Anche la quinta, costituita a Pralongo con scopi di ospitalità, è stata costretta a chiudere i battenti e adesso nella loro enorme casa c’è – provate a indovinare! – un gruppo di cosiddetti rifugiati, mantenuti dallo Stato, cioè, in definitiva, da noi.

Le chiese frazionali sono undici. A parte quella di Pralongo, che è privata (dei Signori Zampolli), le altre dieci sono a carico delle parrocchie, che cominciano ad avere seri problemi per riscaldarle (infatti, lo si fa ben poco) e, in alcuni casi, persino a tenerle agibili (si ha il terrore di dover fare spese straordinarie, che non si sarebbero facilmente in grado di affrontare; ma anche le spese straordinarie prima o poi arrivano). Con il calo dei fedeli, sono diminuite drasticamente le offerte e molti, giovani ma anche adulti, pensano più alla loro vita terrena che eterna, al lavoro e al divertimento in zone esotiche, al mare, allo sport e a qualsiasi cosa fuori che mantener chiese.

Molte persone non mettono più piede in chiesa da anni e, così, non sanno neppure chi siano i sacerdoti presenti in valle. Pochi giorni fa, solo per fare un esempio, al momento di salire sull’autobus una donna disse all’altra, con cui parlava, riferendosi a me: «Lasciamo salire prima il signore». È evidente che quelle due non vengono mai alla messa, né hanno a che fare con noi preti. Un tempo non lontano in Zoldo questo non sarebbe successo. C’è persino della ostilità e chi, se gli telefoni o vai a far visita, è capace di uscire con una bestemmia o dire: «Lei viene sempre a rompermi quando ho da fare» e, naturalmente, non stava facendo nulla; si ricorda degli impegni all’improvviso, non appena vede un prete. E c’è chi dice chiaro e tondo: «Non voglio avere a che fare con i preti».

Fatto si è che, da quest’anno, in val di Zoldo non si faranno più le benedizioni delle case. Almeno nella forma in cui si era sempre fatta, ma solo su esplicita richiesta. Non era più possibile e i laici stessi che frequentano la vita cristiana, hanno capito che non aveva più senso farla.

Ecco l’avviso dato alla popolazione sui foglietti settimanali, a far data dal 4 novembre: «La cosa più bella è la coerenza e il rispetto reciproco. In base a questi semplici principi, penso condivisi», scrive il parroco mons. Paolo Arnoldo, «insieme al consiglio pastorale interparrocchiale si è deciso, nel massimo rispetto di ogni opinione, di non passare di casa in casa per benedire, ma di trovarci liberamente insieme in un luogo appropriato e stabilito volta per volta per celebrare comunitariamente questa particolare benedizione. Se poi qualcuno desidera la benedizione tradizionale, lasci nome, cognome e numero di telefono, per accordare l’incontro».

Dove sarà questo luogo appropriato? Si farà una celebrazione nelle chiese frazionali? Tutto «detto e non detto», tutto da definire, eccetto il fatto primo, dell’aver posto fine alla secolare benedizione delle famiglie e delle case. Farlo su richiesta? Qualcuno telefonerà, ma molti rinunceranno, o per riguardo o per imbarazzo; nessuno di noi è abituato a chiamare un prete per la benedizione della casa; era logico che venisse da sé, gli si faceva festa, gli si dava qualcosa. Tutto finito!

Don Floriano Pellegrini

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