Con una lettera amorevole e coraggiosa, ma anche tragica, un’operatrice socio-sanitaria del Bellunese svela le enormi porcate della dittatura in corso

Non possono impedirci di dir loro grazie, dopo tutto quello che sono stati per noi! Questo diniego non è ammissibile!

Pubblico questa lettera in forma anonima, per quanto io sappia esattamente chi e quando l’ha scritta; un abbraccio, un ringraziamento e una completa solidarietà! [don Floriano Pellegrini]

Sono una semplice operatrice socio-sanitaria. Ho svolto questo lavoro con passione, dedizione, coinvolgimento emotivo e una buona dose di gradevole professionalità. Ho amato il mio lavoro e mi sono sentita, per diversi mesi, fiera di poter contribuire al servizio d’assistenza agli anziani in un momento storico così importante.

Ma è arrivato un giorno… un giorno che non dimenticherò mai!

Nel pieno del mio servizio, mi giunge notizia della morte di una cara nonnina, con la quale avevo condiviso tante emozioni. Il nostro lavoro ci aveva preparato, negli anni passati, ad un approccio con la morte che trovava conforto nel rendere una sorta di omaggio rispettoso agli anziani che ci lasciavano. Esaudendo in qualche modo le loro ultime volontà. Magari preparando quel vestiario che loro stessi in vita avevano scelto. Pregando con loro. Stringendo quella fievole mano. Accarezzando quel volto, segnato da esperienze vissute ai tempi della fame, del freddo e della guerra. Condividendo, insieme ai figli, ai nipoti e ai consorti, il momento del passaggio ad un’altra vita, in un caloroso saluto e rispetto reciproco.

Ma quel giorno… mi era stato presentato un PROTOCOLLO!

Un protocollo maledetto, che definiva una nuova procedura: – Avvicinarsi il meno possibile all’utente, sia ancora in vita che non; – Attendere eventuale constatazione di morte, che peraltro non veniva neppure sempre fatta in presenza. Capitava, infatti, che il medico scegliesse di affidare a noi l’incarico di capire se l’anziano fosse deceduto. Vale a dire che alle volte si riteneva superfluo entrare in un reparto Covid, ed esporsi ad eventuale rischio di contagio, se l’anziano non dava più segni di vita.

Il protocollo seguiva sollecitando alla fretta nell’isolare il corpo del defunto, così come si presentava. E, nell’essere ligi al sistema, eseguiamo: una canotta o poco più; ciò che aveva indosso e basta; magari con un pannolone sporco; senza un rosario; senza una preghiera. Per poi cospargere il nostro anziano di candeggina, da capo a piedi. E chiudere il loro corpo all’interno di sacchi neri, che davano l’immagine di immondizia.

Lì, quel giorno… la mia anima si è aperta; ho visto tutto con occhi diversi.

Un’umiliazione profonda. Gestualità prive di rispetto. Una vita vissuta lasciata terminare nella SOLITUDINE PIÙ PROFONDA. Un’assistenza nella quale non riesco più a rappresentarmi. Ormai, per chi ci ha lasciato, posso solo rivolgere a Dio una preghiera: che mi perdoni! Per essermi prestata, come un soldato, ad un’assistenza disumana. Attenendomi a quei protocolli, che oggi decido di portare alla luce e di non essere più disposta a perseguire.

In questi mesi, troppe contraddizioni mi hanno portato a mettere in dubbio le procedure di assistenza ai miei anziani; e, allora, per chi è ancora in vita, VOGLIO RIVOLGERE A VOI, LORO PARENTI, UN GRIDO D’AMORE: che sappiate, tutti, in quale incubo di solitudine e di assistenza si trovano i vostri genitori, zii, nonni!

Messi a letto per lunghe settimane, isolati nelle proprie stanze, alcuni anche senza sintomi né febbre ma comunque sempre confinati, in un letto avvolto da solitudine; relegati tra quattro mura, senza poter abbracciare un loro familiare! Alcuni di essi si sono proprio lasciati andare: hanno smesso di mangiare e forse, proprio loro, hanno deciso che una vita così non valesse più la pena di essere vissuta.

A voi ancora mi rivolgo: Cari figli e nipoti: ABBIATE IL CORAGGIO di far fronte comune e di andare a riprendervi l’affetto, la vicinanza, gli abbracci, i baci proibiti dei vostri cari. Senza teli, senza plexiglas, senza mai più sbarramenti e sequestri.

«Che vita è qui?»: chiedetelo a loro stessi, chiedetelo alla parte lesa, a questi anziani! E abbiate poi rispetto e considerazione PER LA LORO VOLONTÀ! Io l’ho chiesto a chi poteva rispondermi e questa è una delle tante testimonianze che ho raccolto: «È meglio vivere mille giorni in meno, in cambio di uno con i miei figli».

Allora vi dico: «Bussate alle porte delle strutture! Bussate alle porte di quelle strutture che ve le hanno chiuse, e che vi hanno privato della libertà e dell’amore dei vostri cari! E, se non ve le aprono, ABBATTETELE. ABBATTETELE ATTRAVERSO LA DISOBBEDIENZA, attraverso azioni legali, e facendo fronte comune!».

Io, nel cuore, resterò sempre una operatrice socio-sanitaria; ma ora scelgo di deporre la mia divisa, in nome della libertà, in nome della verità.

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