DON FLORIANO, Come si è formato il regno d’Italia

Il compagno comunista Antonio Gramsci la pensava così:

Oggi i pidiessini, eredi del P.C.I. (Partito Comunista Italiano), la pensano all’opposto, ovvero la pensano come i dirigenti dello Stato italiano sabaudo condannati da Gramsci! Si sono schierati con la loro ideologia massonica e antidemocratica, anziché seguire quella del loro movimento ideale (almeno a ciance), allora rappresentato dal P.C.I.!

Non solo il Regno delle Due Sicilie venne iniquamente invaso da truppe di volontari cioè irregolari e annesso forzatamente ad uno Stato straniero (il regno di Sardegna), ma lo furono anche i Popoli degli Stati del nord della penisola italiana. E quando alle logge ufficialmente facenti capo ai Savoja non bastò l’inganno, la loro ipocrisia gettò la maschera della legalità e mostrò il suo volto autentico, di dittatura e di violenza:

Ancora oggi c’è da parte dello Stato detto Italia un che di assolutamente inaccettabile nei riguardi dei cittadini, divisi in cittadini di serie A (con statuto super-speciale, cioè garantito internazionalmente, com’è per il Trentino-Alto Adige e la Sicilia; ma guarda guarda che i due opposti vanno d’accordo!), di serie B (con statuto speciale ma non protetto internazionalmente, bensì solo dalla Costituzione, ed è il caso di Friuli-Venezia Giulia, Val d’Aosta e Sardegna), di serie C, cioè con statuto ordinario e trattamento economico di favore, a carico dei cittadini di serie D, cioè quelli che, abitando in regioni a statuto ordinario (come i Veneti) sono assoggettati a continue tasse anche per mantenere servizi delle regioni altre, nelle quali c’è meno lavoro ma – diciamo la verità – anche meno voglia di lavorare e anzi un’infinita voglia di poltroneggiare e cercare di avere qualcosa a sbafo di altri. Il Meridione (parola inventata dagli unitaristi, pre e post unità politica della penisola) non è una realtà uniforme. In ogni regione inventata dalla Repubblica c’è del bene; la Puglia, ad esempio, è una regione modello, ma in altre il “lavora tu settentrionale che mangio io” è all’ordine giorno cioè prassi consolidata del vivere e gozzovigliare quotidiano. Ecco una vignetta illustrativa dell’Italia Repubblica fondata sul lavoro, come osa definirsi nella Costituzione:

Conclusione: il regno d’Italia, di cui la Repubblica è erede si è formato seguendo il metodo del serpente che si vede, con parecchio disgusto e non poco stupore, nel video di minuti 0:24 al link https://twitter.com/i/status/1142365085328916481 , inghiottirsi un intero quadrupede!

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Lo Stato italiano, in quanto Stato, ha subito un’operazione di cambiamento di sesso; linguisticamente parlando, è un trans istituzionale. Prima, infatti era un soggetto maschile, un regno; ad un certo punto, tramite un’operazione di chirurgia pseudo-democratica (si sa che l’esito fu manipolato, tanto per cambiare) chiamata «referendum», è diventato un soggetto femminile, una repubblica. Ma dicono che, al maschile o al femminile che sia, cioè con o senza certi attributi (che gli attributi di un regno siano i membri della Casa Reale? A pensare a Vittorio Emanuele III, detto re mezzasega, parrebbe proprio di sì), lo Stato è sempre quello, la stessa identica realtà. Il che, se fosse vero, sarebbe un loro incastrarsi a dover ammettere da ingenui che regno e repubblica sono solo differenze di forma; ma, suvvia!, non si dica, parlando a vanvera, che è una questione puramente nominale e di termini, di facciata, di forma e di look! Che il referendum tra monarchia e repubblica fu il trionfo del palcoscenico, dietro le quinte del quale il grande registra era la solida stramaledetta Massoneria! Ma, dal momento che insistono a sostenere – a livello istituzionale – che lo Stato, al maschile prima e al femminile poi, è la stessa cosa, è quantomeno legittimo il mio dubbio: lo Stato italiano è un trans istituzionale?

Me la rido di gusto, alla faccia dei linguisti privi di fantasia; dei costituzionalisti che non scorgono o non vogliono scorgere il lato ridicolo delle affermazioni di cui fanno l’analisi logica e sovente l’apologia ideologica; dei politici schiacciati dal mono-pensiero imperante, che, alla maniera dei Gesuiti, su ordine del Gran Capo e quand’egli lo voglia (al Gran Capo basta starnutire per dire voglio), sanno o, meglio, fan credere di saper giustificare tutto e, nello stesso tempo, il contrario di tutto, cioè dire che una cosa è buona o cattiva a seconda delle lune (scusate: dei lumi superiori e celesti) del Gran Capo! Poveri politici, discepoli dei Gesuiti e maestri di gesuitismo laico! Altro che i musulmani dell’ISIS: quella è una religione pericolosa e tutt’altro che generatrice di presunte civiltà cattoliche!

Ho stimoli migliori per rinfrancare la mia anima, regalarle giorni di primavera e farle sentire il gusto delle catene che, a cominciare da dentro, si spezzano. Oh, come vorrei che, con me, fossero sempre più numerose le persone che condividono questi sentimenti; che fosse tutto il mio Popolo e fossero tutti i Popoli della penisola!

Questa sera dopo cena, ad esempio, sono andato al giardinetto familiare detto in zoldano l’Ort di Fior (il vocabolo giardino ci è sconosciuto, ci è estraneo e la liberazione passa anche per una purificazione linguistica), per togliere delle erbacce (anche quelle linguistiche possono essere erbacce) e, con questa scusa, stare un po’ all’aria aperta. C’era ancora un bel sole e l’aria, che durante il giorno aveva raggiunto i 30°C, era ancora sui 26-27. Mi sono perciò messo a lavorare all’ombra della tuia, che ora è diventata una trinità di tuie, proprio una e trina ad un tempo, alte più del doppio di me, che pure non sono piccolino; e pensare che, quando l’ho interrata, era di pochi centimetri…

Standomene lì, chino, le poche persone che passavano per la strada, non mi scorgevano. Sentito però il loro sommesso chiacchiericcio ed ho distinto, dalla voce, un nonno che diceva alle nipotine: «Varda al nóst León!», «Varda al León!». Non mi era difficile capire che stava indicando col dito la bandiera della Serenissima. Non riesco ad esprimere la vibrazione particolare che echeggiava in quell’invito: c’era della consapevolezza, della fierezza, la solennità di una consegna morale, la semplicità d’una indicazione che corrispondeva ad un percorso di vita, augurato sì alle nipotine ma che, evidentemente, aveva già segnato quella del nonno. M’è piaciuto questo modo di fare. Magari tutti noi Veneti facessimo così!

Issare una bandiera, mostrarla, è un ottimo disintossicante dalla storia non storica che ci hanno obbligato e ancor ci obbligano a sentir ripetere, anzi martellano con aria di saccenteria e quali dogmi indiscutibili alle nostre orecchie, senz’avere noi alcuna colpa, se non forse quella di non essere stati – almeno sino a poco tempo fa – sufficientemente preparati a reagire. Ma ora non è più tempo di starsene rassegnati ai diktat di poteri così poco fondati e legittimati dalla storia!

Quando emerge la verità, quando la Vita spiega quel che realmente era successo prima di noi, e lo fa tramite documenti autentici, migliaia di documenti che continuamente vengono a galla da archivi ch’erano stati tenuti chiusi agli studiosi per intere generazioni, si viene a conoscere, sbalorditi, che il processo di unificazione dei Popoli italiani (nel senso di Popoli della penisola italiana) è una colossale bufala, poiché ha riguardato Popoli come l’altoatesino che certamente non sono italiani e ne ha esclusi altri, come le Comunità della Venezia Giulia e della Dalmazia che già facevano parte della Serenissima e, quindi, avrebbero avuto e hanno – hanno! – il diritto sovrano di essere riconosciute venete, quali sono, italiane diciamo così, in questa fase di transizione!

Alle bocche chiuse dei massoni opponiamo sempre più le nostre bocche aperte, al loro: «Dovete obbedirci, popoli da strapazzo!» contrapponiamo il nostro: «Fuori dalle palle, maledetti arricchiti con i nostri soldi, che ci avete rubato legalizzando i vostri furti e tenendo nascosti i documenti che comprovavano i nostri diritti e i vostri latrocini». «Sì, via, andatevene, politici nazionali, regionali, locali di ogni livello, che avete occupato i posti delle istituzioni dei Popoli (vi siete persino inventati degli enti, pur di far la bella vita, lì dove le istituzioni locali non bastavano). E’ evidente che avete amato fare i vostri interessi e ancora pretendete di essere mantenuti, lautamente e in forma vitalizia e, intanto, siete così spudorati da lagnarvi di chi, dopo aver sudato per un’intera esistenza onestamente e dignitosamente, vi ricorda (ah, lo schiavo che si ribella!) che pure lui ha il diritto di andare in pensione prima di andarsene al cimitero». Ah, povera Italia, fondata sul lavoro di alcuni e sul parassitismo di altri; sugli inganni storici, sui sotterfugi, sul doppio gioco: il Popolo Veneto ha aperto gli occhi!

Don Floriano Pellegrini

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Una risposta a “DON FLORIANO, Come si è formato il regno d’Italia”

  1. Caro Don Floriano, xe sempre un piaser lezarLa e me rinfranca el cor poder condividar coi altri el me amor pal nostro Popolo e par San Marco. Na volta o l’altra co son par là me torò la libartà de vegner a trovarLa par poder strenzarghe la man e darghe un abraso fraterno. Pa intanto viva sempre San Marco e un baso a la vostra Bandiera de l’Ort di Fior.

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