DON FLORIANO, È stata completata la trascrizione del libro di papa Gregorio XVI

Originario di Belluno e membro della nobiltà locale, il futuro papa Gregorio XVI (1831-1846) non ha avuto fortuna presso i suoi contemporanei né, e ancor meno, i posteri, sia laici che ecclesiastici. Pur riconosciuto come uomo dotto e saggio, era guardato con irritazione dai politici e dai sobillatori desiderosi di trasformare o mantenere il quadro politico della penisola italiana secondo le loro mire o i loro interessi. Il motivo è semplice: era un difensore della verità e della tradizione, due punti che cozzano frontalmente con il pensiero modernista e massonico, oggi di massa e ritenuto naturale, che è caratterizzato dal soggettivismo (negatore dell’esistenza di verità oggettive o, almeno, della possibilità completa di conoscerle) e dall’individualismo (contrario al senso comunitario della vita e della società, e il loro costituirsi in comportamenti condivisi, che diventano, in alcuni casi, tradizioni, anche festose o giuridiche, collettive).

Per usare un’espressione oggi di moda: non era un allineato, un politicamente corretto. Era un uomo, era se stesso, era un vero credente; è stato una gloria del Bellunese e, oggi come oggi, 98 o 99 Bellunesi su 100 non sanno neppure della sua esistenza, figuriamoci se si gloriano di lui!

Così inizia la scheda che, nel 2002, gli ha dedicato il celebre storico padre Giacomo Martina per il «Dizionario Bibliografico degli Italiani» (cfr. : http://www.treccani.it/enciclopedia/papa-gregorio-xvi_ ):

«Ultimo di cinque figli, Bartolomeo Alberto Cappellari nacque a Mussoi, frazione di Belluno e residenza estiva della famiglia, il 18 settembre 1765 da Giovan Battista, notaio, e da Giulia Cesa, anch’essa figlia di notaio. La famiglia paterna, ascritta da circa un secolo alla piccola [= perché qualificarla così?] nobiltà cittadina, si era in passato distinta nelle professioni liberali, soprattutto in campo giuridico, ma aveva anche dato qualche elemento alla Chiesa. Affidato per l’istruzione di base alle cure di un canonico bellunese, G. Carrera, egli aveva quindici anni quando vide la sorella Caterina entrare in un convento di monache cistercensi: sembra che così nascesse la vocazione al sacerdozio che il 23 agosto 1783 avrebbe condotto anch’egli in convento, tra i Camaldolesi di S. Michele di Murano, e che tre anni dopo lo avrebbe spinto a emettere i voti solenni. A partire dal 1790 gli sarebbe toccato l’insegnamento della filosofia e delle scienze nello stesso monastero».

Da poco più di un mese, per superare la troppo evidente trascuratezza dimostratagli finora dalla sua città e dai nobili bellunesi, come Baliato dai Coi abbiamo creato un blog dedicato a Gregorio XVI.

Ieri abbiamo terminato di pubblicare sul blog la trascrizione del suo voluminoso libro (di quasi 800 pagine) «Il trionfo della Santa Sede e della Chiesa contro gli assalti dei Novatori combattuti e respinti colle stesse loro armi».

È facile intuire che già il titolo deve aver dato, e deve dare, parecchio fastidio ai modernisti e ai massoni, che impestano e condizionano (come virus nel computer), occupandone i posti direttivi, la cosiddetta società laica. L’egregio nobile Cappellari la conosceva bene, nelle sue tendenziosità e nei suoi talloni d’Achille, per cui venne combattuto con l’arma che, purtroppo, noi stessi abbiamo avuto modo di sperimentare: l’ostracismo e l’indifferenza, il far terra bruciata attorno alla sua figura e alle sue idee, quasi fossero quelle, e non quelle degli avversari, le pericolose e contagiose. Del resto, con giusto per quanto un po’ amaro realismo, abbiamo un documento nel quale Gregorio XVI stesso accenna a come pure i membri del suo Ordine religioso se ne infischiassero di quanto aveva scritto e de «Il trionfo della Santa Sede».

Poi, inaspettatamente, nel 1831, era diventato Papa (era ancora semplice prete, non vescovo) e, allora, ecco formarsi le ben note e penose schiere degli adulatori interessati, degli straccioni battimano al caldo d’un tizzone di speranza di carriera, dei confratelli calamutandosi pronti a girare il sedere dall’altra non appena avessero percepito che dall’altra si sarebbe potuto prendere (in dialetto ciapà, quasi un chiappare: significativo!) di più. Nella stessa descrizioni delle feste celebrate a Belluno nel 1866, per il famigerato e ingiusto arrivo del regno d’Italia sulle Dolomiti venete, Antonio Maresio Bazolle ci ha dato sobrie ma sufficienti descrizioni di canonici del duomo che passavano tranquillamente, anzi festosamente si buttavano, nelle braccia robuste dei bersaglieri del regno capitato lì per caso, alla pari di certe donne ovvero signore della «Belluno bene» che… lasciamo perdere in qualche cantuccio di piazza Campedel.

Intanto, dopo il 1831, nel 1832 al tipografo editore veneziano Giuseppe Battaggia veniva la brillante idea di togliere dal dimenticatoio e far risorgere «Il trionfo della Santa Sede… Opera di D. Mauro Cappellari Monaco Camaldolese ora Gregorio XVI. Sommo Pontefice». Forse si sarebbe «tirato su una costola»! L’opera del Cappellari era stata composta tra il 1789 e il 1796, e pubblicata a Roma nel 1799; poi, da allora, chi mai s’era ricordato che esistesse? Anche le idee, come le persone e le economie, hanno bisogno della cosiddetta fortuna. Non so quanta ne abbia avuta il Battaggia, ma so che, dopo la tentata rianimazione editoriale del 1832, «Il trionfo» ha riscosso un nuovo fallimento. Io stesso, pur amante della veneranda antichità e pur possedendone nella biblioteca di casa almeno due copie d’epoca, devo ammettere che non l’avevo mai letto, da cima a fondo, prima d’ora. Dire che ce ne parlavano nel seminario di Belluno degli anni del post Vaticano II, sarebbe fare dell’amara ironia; l’ultimo dei modernisti, il più frivolo dei teologi «della presente stagione» ci serviva di meditazione ed istruzione, il Cappellari mai. Si noti come il seminario di Belluno, che conserva alcuni suoi preziosi doni librari, è dedicato a lui e porta il nome di «Gregoriano» proprio in suo onore. Ma, evidentemente, anche l’onore è una merce per chi non ne ha il senso, o una formalità, per chi è abituato a fingere.

Tra i pochissimi sacerdoti che avevano compreso il valore di Gregorio XVI deve essere ricordato l’umile, generoso don Mario Moretti, al quale dobbiamo il merito persino d’uno scritto dato alle stampe, pressoché introvabile. Ah, povero e caro don Mario, sii tu onorato finalmente, anche tu, e anche da coloro che non l’hanno ancora fatto, avendo la testa frastornata e spiritata dalle idee del modernismo conciliare!

Torniamo alla trascrizione, pubblicata sull’indicato blog,  http://gregorioxvi.altervista.org/ , e completata in 43 articoli o post, con l’aggiunta del PDF con la riproduzione digitale del testo del 1832.

La trascrizione è fatta in modo scrupoloso e moralmente affidabile. Pur tuttavia, contiene di certo qualche errore materiale, per un errore di battitura, una non perfetta mia comprensione di qualche testo in latino o per la correzione automatica, ad opera del computer, di qualche parola fuori uso. Mi sono accorto, ad esempio, che il desueto ribattesimo veniva corretto automaticamente con ribattessimo; ma, quando me ne sono accorto,  non ho ripreso in mano i testi già pubblicati per togliere questa imprecisione; e così sarà avvenuto per qualche altro termine. Questa revisione «al dettaglio» potrà essere fatta più avanti, in quanto non si tratta, alla fin fine, di rieditare il libro, ma di accedere ai suoi pregevoli contenuti.

Qui, una piccola immagine del testo cartaceo del 1832 e due del manifesto di propaganda fatto circolare quell’anno dall’editore veneziano, per invogliare ad un’anticipata sottoscrizione, secondo una modalità di vendita, per una specie di abbonamento anticipato, che allora era abbastanza in uso.

Don Floriano Pellegrini

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