DON FLORIANO, Passeggiata sopra Coi il 30 dicembre

C’era un forte vento quando sono partito dalla casa dei fratelli e delle sorelle, alle 13.05, circa, per fare ‘na caminàda fino dove fossi arrivato, in direzione delle casere. Si poteva farla con le scarpe basse, perché a Coi non è ancora arrivata la neve; è vero che sarebbe stato più prudente usare degli scarponcini, in quanto l’erba secca porta a scivolare; ma sono partito così, com’ero, pur con un cappottone, con cappuccio rialzato, berretto, sciarpa e guanti di lana. Le folate di vento erano così forti che sorgeva spontaneo il desiderio di tornare indietro o, almeno, di chinarsi in avanti, nel tentativo di non essere gettati a terra; ma non dovevo arrendermi così presto. Ho superato il dosso nei pressi del fienile degli eredi di Giovanni Rizzardini Duanùž ed ho cominciato a risalire la strada mulattiera: ripida, soleggiata, ricolma di sassi, in parte trasportati dall’alluvione di due mesi fa. Ho scattato alcune fotografie, forse non granché originali ma piacevoli. Sono rientrato un quaranta minuti dopo, neppure tanto stanco, soddisfatto.

Il bosco sovrastante Coi è caratterizzato dalla presenza dei larici. Gli abeti, ad esempio in località Paluél, sono cresciuti in maniera spontanea e sono uno dei segno più chiari dell’abbandono della coltivazione secolare del bosco, oppure stati piantati in maniera volontaria ma assurda, perché, a differenza dei larici (tra l’altro più pregevoli anche come legno) rovinano il fondo prativo sottostante.

Una serie di fotografie per documentare il muro a fianco della mulattiera e il suo stato, in alcuni punti, di avanzato degrado.

Questo non è un tratto del muro della mulattiera, ma il misero avanzo di una malga, completamente andata a terra, come si vede anche nella fotografia seguente.

Sguardo affascinato sul Civetta, già privo di sole.Due sguardi all’indietro, stando sui Prai de Col.

Magnifica fila di larici sui Prai de Col, al bordo con la mulattiera, quindi non spontanei, ma fatti crescere per volontà degli antenati.Dai Prai de Col si scende alla cresta de La Belìna, sopra Coi, e le case appaiono sempre più vicine.

Ho fotografato questo masso, pressoché non rimovibile dal terreno, perché era su massi come questo che venivano scolpite le croci di confine tra le proprietà private e quelle collettive (delle Regole).

I larici sono oltremodo carichi di piccole pigne; sembrano un formicaio…

Nell’incavo di un frassino (di forse cinquant’anni) c’è del muschio, come quello che le persone di Coi raccolgono da sempre per fare i presepi, magari di creta, di carta, di stoffa, di legno.

Mi sarebbe piaciuto fare una fotografia nella quale si vedessero questi lunghissimi rami in orizzontale di un frassino; per farla sarebbe bastato allontanarsi, ma non si riusciva a dare l’ “effetto sorpresa” che si ha osservandoli dal vivo. 

Due fotografie  da sotto il ponte d’accesso al tabià già di Giovanni Rizzardini Duanuz. Sullo sfondo si vede il Mas di Sabe, oltre la collinetta il tabià-abitazione dell’arch. Matteo Sartori. Anche le seguenti fotografie sono collegate con questo ponte e tabià Duanuz. Mi sono stupito di questo anello conficcato in una roccia e non ne ho compreso il motivo pratico, pur facendone alcune ipotesi. Nella foto successiva si vede un ferro a due punte. Di questi ferri ne avevo visti altri, nella soffitta di casa o in altri posti, senza riuscire a spiegarmi come mai avessero una punta verso l’altra e una in orizzontale con il ferro stesso; ora me lo sono spiegato: era per tenere uniti due tronchi posti ad angolo, come in questo caso. Su un paletto, lì vicino, ho notato un chiodo importante, di quelli che venivano fatti a mano nei tempi antichi. E, poco più in là, una piantina di frassino circondata in modo tale da non essere trascinata a terra dal vento; anche questo mi ha un po’ colpito, perché non immaginavo un tempo (non lontano) gli stessi frassini venissero coltivati con tanta cura.

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