DON FLORIANO, La compravendita del 1825 tra Adamo Rizzardini ed i figli

Jose Pablo Rizzardini Gonzales, residente in Messico (dove era andato ad abitare, ancor giovane, suo papà Nicolò, detto Coléto – tutti i Nicolò erano detti Colò o Coléto) ci ha fatto conoscere un documento di 195 anni fa, riguardante il suo bisnonno paterno Adamo Rizzardini, suo nonno Paolo (di cui ha rifatto il nome, come diciamo noi di Zoldo) e i fratelli e le sorelle di quest’ultimo: Gio. Batta, Giovanna, Maria e Maria Maddalena Giovanna.

Sulla facciata della più antica casa di Col compare la scritta G. R. da intendersi “Giovanni o Gio. Batta Rizzardini”. Era la casa dove abitava Adamo? Dal documento del 1786 apprendiamo che era figlio di Zanne cioè di Giovanni

Si tratta di un atto privato di compravendita, forse in bozza (dal momento che mancano le firme), scritto da un qualche notaio (sarà facile verificarlo) ma non come rogito notarile, però pur sempre su carta bollata (da centesimi 60).

Il documento era inedito ed ho avuto il piacere di trascriverlo, tanto più che è scritto in modo estremamente chiaro, come si può vedere dalle due fotografie digitali qui sotto riportate.

A essere onesto, non ho capito bene lo status quaestionis, ossia il motivo per cui papà Adamo si fosse deciso o fosse stato costretto, a circa settant’anni di età, a vendere otto bei appezzamenti prativi, se pur d’alta quota, ai suoi figli e figlie. Con quei prati poteva mantenere due o tre mucche, cioè quanto bastava, in quegli anni, per mantenere una famiglia, in semplicità ma con sufficiente decoro. Mi è sembrato di capire che avesse dei debiti (o come si vogliano chiamare) verso la famiglia dei Pellegrini Vésco, piuttosto benestante, dalla quale proveniva sua moglie Teresa. Adamo e Teresa li avevo già incontrati in un documento del 25 aprile 1786, posseduto dal nostro archivio familiare. In questo documento Teresa è chiamata Donna, cioè Signora, e fa una procura a suo marito Adamo perché la rappresenti in un atto notarile; la proprietaria dei beni è lei, ma ha piena fiducia in lui e lui fa un po’ la figura di quello che ha tutto l’interesse di obbedire, se vuole godere delle ricchezze di una benestante.

Tra il 1786 e il 1825 ci sono ben 39 anni ed erano successe molte cose, a cominciare dalla caduta della Repubblica Serenissima. È accertato che, secondo il sistema antico, la dote costituita per matrimonio era una proprietà esclusiva della donna: su quei beni il marito non aveva diritto, neppure in caso di debiti; non avessero avuto figli, la dote materna andava ai suoi parenti di famiglia, da dov’era partita; ne avessero avuti, andava direttamente ai figli. In ogni caso, come si vede, il marito non metteva mano sui beni della moglie chiamati dote o dotazione sua personale. Nel 1825 Teresa era morta e c’era ancora un qualche debito che Adamo si era fatto con il Pellegrini in occasione del matrimonio con Teresa; c’erano inoltre i beni immobili di Teresa, la sua quota di eredità, che forse, secondo le leggi di allora, doveva restare in famiglia dei Pellegrini. Ma questi probabilmente si erano detti favorevoli a lasciarli ad Adamo e ai suoi figli (e figlie), riconoscendo loro una specie di diritto di primo acquisto. La soluzione poteva accontentare tutti: i Pellegrini, che sarebbero stati liquidati da Adamo, Adamo che avrebbe avuto dai figli quei soldi di cui non poteva disporre, i figli che sarebbero divenuti proprietari – finalmente – dei beni, secondo una divisione che poi avrebbero dovuto fare tra loro e qui non è indicata. Ecco il documento:

Sulla facciata della medesima casa c’era questa scritta, posta dopo la caduta della Serenissima, e ridipinta pochi anni fa. Voleva dire che, secondo il nuovo sistema amministrativo (non più quello veneto, ma quello imposto dai Francesi e dagli Austriaci, Coi e Col, pur continuando ad essere – e come poteva essere diversamente? – due villaggi, per il nuovo ente comunale erano considerati un’unica frazione.

L. D. [1]

Regno Lombardo Veneto / Provincia di Belluno Distretto di Longarone / Commune di S. Ticiano in Zoldo [2] questo giorno 18. dieciotto Luglio 1825. venti cinque.

Il quì presente infra[crit]to Adamo Rizzardini del fù Giovanni possidente domiciliato ai Coi Frazione [3] della sud[dett]a Commune [4] spontaneam[en]te per se, Eredi, e sucessori suoi ha datto, e liberam[en]te[,] salvo il patto di recupera, [5] venduto a’ suoi Figlij, e Figlie, [6] cioè Gio. Batta, [7] Paolo, Giovanna, Maria, e Maria Madalena Giovanna[,] assistite queste dai respettivi loro Mariti quì in calce [8] del presente [atto] sottos[crit]ti, che quì presenti per se stessi, Eredi, e successori suoi comprono, e salvo il patto di recupera[,] in pagamento come quì sotto sarà dichiarito aquistono li Beni seguenti[,] posti e scituati [9] nell’attinenze dai Coi [10] sud[dett]o, e trà li confini benissimo noti [11] alle Parti sucitate, cioè

1.° Prado de là del Lares [12] de p[ass]a [13] n.° 1661. / 2.° Prato ai Lach [14] de passa n.° 1601. / 3.° Prato da Ruoing [15] de p.a n.° 1537. / 4.° Prato al Fop di produzione fieno cara due. [16] / 5.° Prato della Bedina del prodotto di un caro fieno. / 6.° Prato all’Astel [17] di un cara, e mezo fieno. / 7.° Prato al Valon [18] di d[ett] produz[ion]e fieno. / 8.° La mettà del Prado d’Aierezze di cara uno fieno. [19]

E la presente vendita ed alienaz[ion]e per prezzo, summa, ed importare così d’accordo trà le sud[dett]e Parti Contraenti convenuto, ed accordato d’Austriache lire cinquecento due C[entesi]mi 36. diconsi L. 502:36, il pagam[en]to delle quali segue nel modo infras[crit]to, cioe parte in pagam[en]to, e pareggio della dotte percepita al tempo del suo maritare della fù Teresa Pellegrini fù Moglie del sunominato asegnante Vend[ito]re Adamo, e Madre resp[ettivament]e delli sudichiariti Figlj Comprator[i,] e parte a sodisfa[zion]e di Fabriche, [20] e beni di raggione divisoriale della citata Teresa, e disposti e venduti dallo stesso Adamo Marito, e Padre resp[ettivament]e. Stante il qual assegnam[en]to[,] chiamandosi le sud[dett]e Parti Contraenti a pieno pagate, pareggiate e sodisfatte per esse stesse, Eredi, e successori suoi si fecero, e fanno una reciproca generale, e perpetua riceputa, e quietazione [21] nella valida, e solene forma, con promessa della debita osservanza, e manutenzione sopra la pred[ett]a vendita, ed assegnaz[ion]e contro quos in Giudizio, e fuori sott’obligaz[ion] et c. [22]

La proprietà[, il] dominio, e [il] civil possesso [23] dei Beni antedetti viene trasferito [24] all’atto del presente contratto all’acquirenti.

Le spese dirette, ed indirette pell’avvenire saranno a carico delli pred[ett]i Figlj Comp[rato]ri, li quali a tutte loro spese dovranno far seguire la Voltura di Estimo alla prop[ri]a Dita.

Fatto e redato il presente atto privato in duplo originale, e firmato dalle Parti contraenti, con contrafirma dei due sottos[crit]ti probi [25] Testimonj[,] doverà riportarne l’inviolabile, e perpetuo suo effetto, ed esecuzione, come se stato scritto fosse per mano publica Notarile.

NOTE

[1] Abbreviazione di Laus Deo, «Lode a Dio». Breve preghiera o invocazione del nome di Dio o della Madonna che, per tradizione secolare, si metteva all’inizio dei documenti, per chiedere l’assistenza di Dio nel compilarli e, indirettamente, a testimonianza della lealtà morale dei contraenti.

[2] Dopo la caduta della Serenissima, erano stati istituiti i Comuni, prima non esistenti. Nella valle di Zoldo, che durante il periodo veneziano era un unico capitaniato, con sede a Forno, vennero istituiti due comuni, durati sino a pochi anni fa, quando si sono riuniti. Il comune della metà circa della parte inferiore della valle prese il nome del capoluogo: «Comune di Forno di Zoldo», quello della circa metà superiore prese il nome di «Comune di San Tiziano di Gòima», abbreviato in «Comune di San Tiziano». E questo per valorizzare la valle secondaria di Gòima, poiché la sede municipale in questo caso era stata portata a Fusine, fuori di tale sub-valle.

[3] Si dice domiciliato, ma potrebbe essere inteso come residente. In altre parole: non è prova che abitasse stabilmente nel villaggio nativo, può anche voler dire semplicemente «registrato all’anagrafe di quassù». Insieme ai Comuni erano state istituite le frazioni, spesso con amministrazione separata e distinta da quella comunale. Nel presente caso, i due villaggi di Coi erano stati considerati un’unica frazione comunale, pur restando due i villaggi. Qui si dice che Adamo abitava nella frazione di Coi, il che non significa che abitasse nel villaggio di Coi, poteva abitare anche nel villaggio di Col, come credo sia più probabile, visto che i discendenti stavano tutti a Col.

[4] Il nuovo ente Comune (detto anche municipio), imposto dai Francesi, subentrati al Governo veneziano, e conservato dagli Austriaci. Il termine Comune era inteso al femminile la Comune, mentre noi ora lo intendiamo al maschile, il Comune.

[5] Dichiarazione formale, dovuta al frasario in uso, ma qui persino un po’ ridicola, perché è ovvio che un recupero di quanto stava per vendere ai figli non ci sarebbe più stato.

[6] Usa il maiuscolo, come prima per il termine Eredi e poi Marito e Moglie. Non è un modo di scrivere suo esclusivo, poiché veniva usato anche dagli altri in quel tempo; ma è, pur sempre, prova del rispetto vicendevole, per cui anche un genitore trattava figli, figlie ed eredi in genere come delle autorità. E questo smentisce l’affermazione che i figli erano trattati da servetti, da parte dei genitori e degli adulti.

[7] Abbreviativo di Giovanni Battista, nome allora molto in uso. San Giovanni Battista, tra l’altro, è compatrono della Val di Zoldo, dopo San Floriano di Lorch.

[8] Nella parte terminale; in realtà il documento manca di tutte le firme, per cui ha valore storico ma non legale. Era forse una bozza?

[9] Naturalmente sta per situati.

[10] Come anche prima, nell’indicazione della frazione compare la vocale i, per cui si ha: ai Coi, dai Coi, sai Coi. Ora, invece, è entrato in uso ufficiale solo il Coi, senza l’articolo i (maschile plurale, poiché Coi sta per Colli).

[11] Tant’è che non vengono neppure indicati.

[12] «Prato [chiamato] di là del Larice». Valore documentario di quest’elenco, fatto in dialetto cioè parlata reale e non in un burocratico e artificioso italiano.

[13] Passi, misura antica di superficie.

[14] I Lach, «I Laghi», che in realtà sono alcune aree paludose e non laghi, è località sotto il Palmo, poco distante da Zoppè di Cadore. Come Pellegrini abbiamo ancora varie proprietà ai Lach; io stesso vi ho ereditato un prato, molto esteso.

[15] Ha scritto così, ma evidentemente sta per Ruoign, poiché esiste una località che si chiama ancora così o, con una leggera variante, Rùein. Il significato del termine è chiaro, ma non mi metto a descriverlo, poiché sarebbe un po’ lungo. Indica un certo tipo di conformazione del terreno.

[16] In questo caso, si usa un altro tipo di misura, sempre antico, non i passi ma la produzione di fieno, espressa in carri o cara, al maschile plurale di caro cioè carro, in parlata dialettale, mentre secondo la grammatica italiana, pur omettendo la doppia, sarebbe cari.

[17] Pronuncia Astél, è situato anch’esso nella zona de I Lach, cioè lontano dal villaggio, sotto il Pelmo, sul versante est, ai confini con il Cadore, a circa 2000 metri di altitudine. Per produrre un carro di fieno a quelle quote, significa che il prato è immenso.

[18] Nella stessa area, sotto il Pelmo.

[19] Altro prato nella zona, ed enorme, tanto che produceva due carri di fieno, e se ne vende la metà.

[20] Edifici in genere, case o fienili, o altro.

[21] Ricevuta, e quietanza.

[22] Padre, figli e figlie si impegnano al rispetto del contratto tra loro convenuto e al farlo rispettare in caso di contraddizione da parte di terzi, sia in tribunale che fuori; si impegnano a ciò vincolando i propri beni, come nelle formule antiche di compravendita, pur trattandosi di atto privato e non notarile.

[23] Distinzione ottima, ammirevole.

[24] Meglio: sono trasferiti.

[25] Provati, degni di fiducia.

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