DON FLORIANO, I figli di Aquileia ricordano i 600 anni dalla fine dell’indipendenza politica del Patriarcato

La spada del patriarca Marquardo, nostro nobile signore

Con grande piacere, noi membri della Comunità morale del Baliato dai Coi ci uniamo ai fratelli storici e spirituali della Patria del Friuli e delle altre Comunità figlie di Aquileia, per ricordare i 600 anni dalla fine dell’indipendenza politica del Patriarcato.

Con la prepotenza loro tipica, i Veneziani di allora cercarono di distruggere la nostra antica civiltà per affermare la loro. Per essi, Venezia doveva essere la nuova città caput mundi, e le loro tasche dovevano essere ricche di quante più ricchezze riuscivano a rubare agli altri. L’atteggiamento incivile e vergognoso di certi Veneziani di allora non è cessato; ci sono anche oggi esaltati e balordi ai quali, purtroppo per loro, siamo ben pronti e fieri di reagire, per farli stare nel cantuccio in cui la storia – giustamente o ingiustamente che sia – li ha confinati, e accucciarsi come sarde in saor nei loro rancori pseudo-culturali.

Per quanto noi Pellegrini ed io personalmente siamo tra i primi a chiedere la costituzione di uno Stato Veneto, non la intendiamo però, per nulla, come un ritorno alla passata Serenissima, se non come valorizzazione della sua civiltà. Ma la costituzione di tale Stato deve e dovrà essere intesa, come allora per gli onesti e megli di allora per i disonesti, come una valorizzazione, in continuità storica sì ma anche originale e creativa, delle Comunità locali, dei Territori statutariamente sovrani; la Serenissima come tale seppe farlo, a merito sul suo Patriziato, ed è una sua infinita gloria.

Noi Pellegrini, stando al famoso documento del 1584 conservato nell’archivio comunale della Val di Zoldo, ci dichiarammo Vassalli del Serenissimo Principe. Abbiamo riconosciuto e confermato lealmente, sempre, da parte nostra, la nostra sottomissione (c’è una sottomissione che è giusta e doverosa, la parola non può essere intesa subito in senso dispregiativo) al Governo veneto. Ma alla conditio sine qua non – come ovvio – di tale sottomissione era una pari lealtà del Governo veneto nei nostri riguardi e quindi, in concreto, il suo totale rispetto delle nostre prerogative e libertà civiche, cioè collettive, di cui all’atto e patto di dedizione.

Il Patriarcato, infatti, non è cessato o caduto – come erroneamente si continua a dire. Ha semplicemente perso (non è poco ma è tutto qua; vediamo le cose nei loro esatti termini) la sua indipendenza politica, la sovranità statutaria, non l’identità collettiva, alla quale non poteva, non può e non vuole rinunciare. Noi, figli di Aquileia, difendiamo perciò “a spada tratta” il Patriarcato, sappiamo – in tutto e per tutto, con amore filiale – che è nostro dovere morale e storico e, così facendo, difendiamo noi stessi anche come persone private dai soprusi di chicchessia, siori o ex siori veneziani compresi. Non vogliamo essere dei degeneri, né che alcuno abbia in più lontano dubbio che siamo, anca inte ‘n pont sol, dei degenerati.

Il Patto di dedizione, comunque, venne fatto con il Serenissimo Principe, non con un manipolo privato di Veneziani. Fu patto tra Stato e Stato. Che oggi alcuni abitanti di Venezia, quindi anagraficamente Veneziani ma poi chissà di quale progenie, applicando a se stessi una gloria di appartenenza storica che loro non appartiene ma rubano, per quel burocratico atto anagrafico, si azzardino di farci il predicozzo sulla non valenza del Patriarcato è, oltre che ridicolo, demenziale. E quando li vediamo pavoneggiarsi di una gloria storica che loro non appartiene, ci vediamo nell’odiosa necessità di ricorda loro un principio base di educazione civica, di cui evidentemente sono molto carenti. Questo: che la gloria è un bene collettivo e, se individuale, lo è per riflesso di quel collettivo cui si fa riferimento. Non esiste una gloria mia o tua, ma è sempre una gloria condivisa, nostra. E’ un bonum delle Comunità, e lo Stato che le rappresenta ha tutto l’interesse a valorizzarla, non sminuirla, per farla sua.

La gloria non è né dei singoli né dello Stato, ma dei Popoli e, più precisamente ancora, di quelle loro cellule primarie che sono le Comunità. Secondo la mentalità longobarda o germanica in genere, di cui all’editto di Rotari, che per noi moralmente ha ancora valore, iuxta modum s’intende, la prima Comunità è poi la Casata o grande Famiglia parentale, alla quale ognuno ha da fare riferimento costante. E, anche nel documento del 1584 i miei antenati parlavano questo linguaggio ed esprimevano questa precisa e letterale convinzione, nella quale siamo radicati, fermi e fieri.

Tornando ai 600 anni di fine dell’indipendenza politica del Patriarcato di Aquileia, il più importante dell’Europa occidentale (secondo solo a Roma), ecco locandina e dépliant delle iniziative messe in atto:

Aquileia. Marquardo di Randeck (1365-1381). Denaro. B. 183. AG. g. 0.68 mm. 19.00 BB.

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