DON FLORIANO, La morte dell’avv. Ivone Cacciavillani, nemico del diritto privatistico delle Regole

E così anche l’avv. Ivone Cacciavillani “l’ha tirà i scarpét”, espressione tipica di alcune nostre valli alpine, compresa quella di Zoldo, per dire semplicemente quello che altri esprimono come “rendere l’anima a Dio” o “presentarsi davanti al Padre eterno, al Giudice supremo”; mors, definita dalla Chiesa dies natalis e ciò per l’avvocato è avvenuto nel giorno del Mercoledì delle Ceneri. Un “memento”, dunque e in ogni caso, ad Deum pro eo!

Del resto, era del ’32. E, che volete?, prima o poi capita di morire: anche agli studiosi, anche agli avvocati, anche ai principi del Foro, ai malvagi come alle persone per bene. Il Cacciavillani ha fatto del bene? Penso proprio di sì, ma della sua vita privata non mi sono mai occupato. Dicono che fosse un bravo avvocato e, allora, avrà fatto del bene anche come avvocato, per quanto gli avvocati siano temuti e, nello stesso tempo, abbiano una fama non proprio brillante; sicché a questo mondo chi è certamente buono ma non fa paura, non è temuto, mentre chi ti lascia in dubbio – anche un dubbio bello grosso – sulla sua rettitudine ma riesce a farti paura, è rispettato. Sic vadit; et vadit ergo!

Dal mio punto di vista, Cacciavillani ha però fatto un grosso errore: ha “ficcato il naso” nella realtà delle Regole, cosa che come studioso poteva ben fare ma, allora, doveva farlo da studioso e non da avvo-politico. A qualcuno, però, egli andava bene proprio così, per la sua duplicità identitaria, di studioso e avvo-politico, per cui a volte si è costretti a leggere due o tre o più volte un passaggio di un suo scritto, per capire dove voglia andare a parare. I suoi estimatori lo vedevano come un luminare, un maestro, un punto di riferimento, un non plus ultra. Può darsi fosse vero anche questo; almeno in parte di sicuro lo è stato, lo si percepiva bene e la sua lucidità mentale era impressionante.

Ma, avendolo conosciuto di persona (e gli sono grato per una visita a Coi, che non gli servì però nel suo scopo), mi parve piuttosto l’uomo del compromesso, delle verità elastiche, del giusto pragmaticamente adattato al “politicamente corretto”, delle ambiguità volute, dell’equivoco possibilista, dell’uso strumentale delle parole adottate. Se non suonasse irrispettoso, per lui intendo, potrei definirlo un gesuita del Foro! Si fa esperienza da qualche anno, da quando il soglio di Pietro è occupato dal gesuita Mario Bergoglio, di quanto il senso tenebroso della parola “gesuita” sia tornato in piena luce!

E, dunque, che aveva mai fatto di “gesuitico” il Cacciavillani? Questo: s’era schierato con quelli che avrebbero visto volentieri le Regole come enti di diritto pubblico. Poi, comprendendo che fin là e là non sarebbero potuti arrivare, ha tentato di far sì che le Regole venissero riconosciute di diritto privato ma con tali e così tanti controlli da parte degli enti pubblici da perdere di senso e della secolare autonomia. I suoi libri in materia di Regole sono pieni, or più e or meno, di queste trappole verbali. Fece un commento sulla nuova legge a favore delle Regole. Era un testo al quale lui non aveva collaborato per stenderlo e, certamente, non l’avrebbe steso così; uno degli estensori materiali ero stato io. Fece il commento del mio testo e delle parole da me usate senza sentire il bisogno di chiedermi, una minima volta, perché avessi scritto quella frase o scelto quel termine. Credeva di sapere quel che avevo pensato, senza neppure chiedermi una sola volta se l’avevo pensato o se, al contrario, quella era la sua semplice interpretazione! Questo non è rispetto per la verità, non è rispetto per le persone ma un “so tutto io”.

Quando capì che non riusciva a tirarmi dalla sua o, meglio, quando io mi seccai definitivamente di stare ai suoi tiramolla, non gli scrissi più. Da qualche anno i nostri rapporti s’erano perciò interrotti. Chissà cosa avrà pensato di ciò, di me e della mia scelta di chiudere! Chissà cosa pensano gli sconfitti quando devono prendere atto d’aver combattuto per una causa persa!

Da qui in poi, i suoi estimatori dicano tutto il bene che vogliono. Io non ho detto male di lui, non ne ho motivi, ma non ho voluto neppure ricordarlo per chissà quali meriti; l’esperienza che ho fatto della sua ambiguità nel trattare delle Regole mi sorprende ancora.

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