DON FLORIANO, Precisazioni, integrazioni e domande

E’ (sarebbe) più che necessario spiegare cosa si intenda per fraternità umana, altrimenti troppe cose immorali diventano lecite

1) È stata per me una brutta sorpresa o, se si preferisce, un’ulteriore occasione per constatare come oggi molti cattolici non lo siano più, pur credendosi e dichiarandosi tali, senza il minimo problema di coscienza. Mi riferisco al documento sottoscritto da Papa sulla «fraternità umana», documento dal tema affascinante ma ambiguo già nel titolo tant’è che l’espressione nel testo viene indicata tra virgolette, segno che gli stessi sottoscrittori si rendevano conto di dire cose ambigue. In effetti l’ambiguità è voluta e necessaria ai sottoscrittori, perché sanno di firmare un testo, direi un capolavoro, di filosofia massonica, eppure lo fanno da capi del cattolicesimo e dell’islamismo, quindi in aperta e stridente contraddizione con il loro ruolo in ambito religioso. Infatti, o si segue una filosofia naturalista e razionalista, com’è quella della fraternità universale massonica, o si segue una religione rivelata con una teologia conseguente, che cerca (e può dimostrarlo) di non essere in contrasto con la ragione, ma non scaturisce dalla ragione, bensì da un fatto soprannaturale, da una Parola di Dio.

Un amico di vecchia data, pur di non dire che sottoscrive il documento, ha detto che non è in grado di valutarlo, non avendo sufficiente preparazione teologica; ma è mai possibile che sia cattolico senza sapere l’A B C del catechismo? Senza sapere che Dio ci rende fratelli non per natura, come dice il documento, ma per grazia, cioè per mezzo di Gesù Cristo redentore?

Un altro amico ha scritto: «Le posizioni sono assolutamente inconciliabili. Rispetto le vostre argomentazioni, coerenti con una certa visione di chiesa che lo scrivente non condivide. Mi permetto di ricordare che Gesù Cristo è il Salvatore degli uomini e del cosmo, non certo papi, vescovi o apparati curiali di ogni risma. In ogni caso, mi auguro di poter chiarire ogni cosa tra le fiamme dell’inferno». Vi sembrano discorsi seri?

Un terzo amico ha scritto: «Vero, le posizioni sono inconciliabili. La Chiesa di Cristo è quella che ha sempre insegnato certe cose e sempre lo farà; semper idem. Non l’adultera del mondo. Né possiamo sceglierci quella che ci va a genio. O si è cattolici, quindi secondo Tradizione; o non lo si è. E non scherzerei sull’inferno, ch’è cosa terribile e serissima. Purtroppo i conciliari hanno reso tutto una buffonata: qualsiasi anima dannata cui fosse concesso di tornare su questa terra, diverrebbe in breve il più grande Santo, pur di non ricadervi, pur di non perdere Dio. Ma è troppo tardi ormai, tutto è perduto. Come diceva Sant’Alfonso Maria de’ Liguori: perso Dio, perso tutto. Qui sotto un video del Bettazzi, vescovo di Ivrea, quello del compromesso storico con Berlinguer. Bolognese, seguace della squola del Lercaro, Cardinale di Bologna e distruttore della liturgia, il Bettazzi racconta una barzelletta per irridere il dogma Extra Ecclesam nulla salus, odiatissimo dai conciliari, che vorrebbero mandare tutti in Paradiso senza la Fede (in realtà mandandoli all’Inferno). È interessante vedere con quale cinismo il Bettazzi irrida il cattolicesimo perenne: “Nessuno si lasci ingannare. Ci si può burlare degli uomini, ma non di Dio. Deus non irridetur! Ciascuno raccoglierà quello che ha seminato”(Galati 6, 7)».

Il video indicato è visibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=aB06jC5RzwY – Chi desidera, può visionare (vedere e ascoltare) anche quello immediatamente successivo, sempre di sior Bettazzi, dove egli confessa candidamente le trame conciliari per contrastare e demolire la Chiesa di sempre. Si ricordi che anche Bettazzi figurava tra i massoni elencati dal povero giornalista Mino Pecorelli, assassinato nel 1978, l’anno stesso di papa Luciani, che si trovò ad avere come segretario di Stato quel card. Villot che pure rientrava nella lista dei massoni, ecc.

Adesso si comincia a capire perché e in che senso i vescovi prima di entrare in carica erano costretti a giurare fedeltà alla Repubblica italiana.

2) Tre vescovi massoni a Coi? Anni fa, come documentato da una fotografia apparsa sul bollettino parrocchiale, vennero in visita a Coi, accompagnati dall’arciprete don Franco Decima, tre vescovi: quello diocesano, mons. Vincenzo Savio (1944-2004, secondo i suoi ammiratori e i suoi favoriti morto in odore, più o meno rosaceo, di santità), mons. Alberto Ablondi (1924-2010), già vescovo di Livorno ed elencato nella lista dei massoni composta e mai smentita da Mino Pecorelli; il terzo era mons. Luigi Bettazzi (1923-). Il Savio (di cognome) era stato ausiliare dell’Ablondi e propugnatore come quello là dell’ecumenismo, del dialogo, ecc. ecc. Domanda: «Ma il Savio era simpatizzante della Massoneria o persino suo sostenitore? Guarda che bella coincidenza quel trovarsi dell’un-due-tre a Coi!». E, almeno per questa volta, mi fermo qui nelle mie considerazioni.

L’invasione religiosa musulmana tollerata, anzi favorita.

3) E pensare che noi credevamo fosse una stramberia la giornata cristiano-islamica, di cui all’articolo 0025 ! Altroché, è tutto un piano, messo in atto per affratellare (si fa per dire) cristianesimo e musulmanesimo in nome del generico Dio dei massoni! Eresia sua eresia, diavoleria su diavoleria! Aveva ben ragione di lamentarsi, se pur con estrema discrezione, il cibernauta cattolico milanese di cui all’articolo 0027! Si vede che dobbiamo, dunque, continuare nelle preghiere di cui all’articolo 0029.

Forse non lo si ricorda più: guai piegare i tessuti ghiacciati, posti ad asciugare, altrimenti si stracciano!

4) In zoldano esiste il termine cagnìž, che sta a indicare la situazione di freddo, cielo coperto e nuvole basse tipica di quando sta per iniziare a nevicare. Segnalo questo sostantivo, che io stesso avevo dimenticato, in quanto l’ho sentito varie volte quest’inverno ed ho ritenuto buona cosa registrarlo, prima che vada perso. Frattanto, oggi è una giornata di gran gónfet, ed è impossibile muoversi da casa. A tratti il vento alza il nevischio per dieci o venti metri, scaraventandolo sulle facciate delle case o spazzandolo dai tetti, in vortici che creano una sospensione del respiro. Guai non fosse caduta la neve; un vento così solleverebbe le lamiere, forse, perché è alterno, a tratti impetuoso, a tratti si blocca. Non è facile inquadrare in termini specifici i fenomeni complessi della natura.

Immagine centrale dell’arca dei Signori d’Avoscan (o Avoscani), a Belluno.

5) Qualcuno si chiederà, o si sarà già chiesto, il motivo della pubblicazione sul nostro blog di tre articoli riguardanti Corenno Plinio e le arche degli Andriani. In effetti, l’inserimento sembra non aver giustificazione, ma essa c’è ed è questa: credo d’aver fatto una piccola scoperta: ho notato che la più antica di tali arche (soprattutto) richiama quella del nobile Federico degli Azzoni, l’antico proprietario dei masi di Mareson e di Pianaz, con parte di Coi. Tale arca del nostro è murata all’interno del campanile del duomo di Belluno e, a parte pochi cenni ad essa dedicati dallo storico don Ferdinando Tamis (e forse da qualche altro), essa non è mai stata presa in giusta e seria considerazione. È una trascuratezza, sia della Belluno ecclesiastica come civile, cui mandiamo cortesi ma ferme sollecitazioni perché si ponga rimedio. Interessante anche il confronto con l’arca dei Signori da Avoscan, di poco posteriore a quella dell’Azzoni. La somiglianza di stile tra il manufatto (i manufatti) di Belluno e quello (quelli) di Corenno Plinio m’induce a ipotizzare l’esistenza di contatti ben più vasti dell’ambito provinciale, da parte dei vari committenti. Il prof. Giuliano Ros mi ha pure fatto conoscere, di recente, un altro manufatto nel quale m’è parso di rinvenire delle similitudini stilistiche.

Mi ha colpito, poi, il fatto che a Corenno ci sia venerazione per San Tommaso di Canterbury, un santo amato in ambito templare, e che sia gli Andriani come l’Azzoni fossero collegati con il mondo della produzione delle armi; Federico era addirittura miles. Bisognerebbe, in altre parole, approfondire il rapporto tra le città medievali di Belluno e di Brescia, sia per la produzione bellica sia per le rispettive presenze militari. Sappiamo, infine, che, nel mentre il miles degli Azzoni possedeva in Zoldo i due vasti masi accennati (che a lui interessavano soprattutto per la produzione del legname per i forni fusori), il lato opposto della valle (da Pecol fino al Canazzè e anche oltre, fino alla montagna di Gòima) era frequentato dai pastori dei nobili de Bitignolis de Axole, detti anche de Brixia, quindi originari di Brescia, e c’è chi ritiene che i Balestra di Pecol, gestori originari di quel maso (di proprietà della Scuola della Madonna Addolorata, presso Pieve di Zoldo), fossero stati degli artigiani del ferro, giunti assieme a detti pastori dei nobili bresciani, sicché avrebbero preso in mano la gestione anche del forno fusorio di Pecol. Una semplice ipotesi, ma che registra una tradizione orale diffusa da parecchi anni.

Sotto, immagini della casa dei Cason, la più antica di Pecol, durante alcuni lavori di restauro nell’estate 2018.

6) Chi erano gli antichi minatori di Val Inferna? La questione è delicata, lo so, come sono consapevole che non tutti gli storici hanno le palle, pur avendo una gran testa… Qualche estate fa un amico m’invitò, là per là, a visitare l’imboccatura dell’antichissima miniera della Val Inferna, sopra Fornesighe e Arsiera, dove non ero mai stato. Non ero preparato, avevo le scarpe basse e camminavo male, scivolando sul pendio coperto dalle erbe e fronde secche o umidicce del primo autunno. Era da stupidi mettersi a far quell’arrampicata in simili condizioni, ma la curiosità e la fretta di conoscere quel posto avevano avuto la meglio. Giungemmo. L’imboccatura non è molto visibile e, a differenza di quel che credevo, è in verticale; bisogna calarsi nel buco. Naturalmente non lo facemmo, non avendo né casco, né corde, né torce, ecc. La roccia circostante è estremamente dura, non friabile, compatta, ma mille pericoli erano palpabili nell’aria. Allora mi chiesi e domandai come potessero delle persone di media o alta statura scendere sotto terra, in quel buco. Solo persone di bassa statura, più nane che nella media cosiddetta normale, avrebbero potuto scendere e salire giornalmente senza disagio. Persone scaltre ad evitare i colpi alla testa (quindi pressoché sempre con un copricapo distanziatore), alla schiena, alle ginocchia, persone abili nel muoversi in caso di pericolo e a intrufolarsi in qualche cunicolo, senza paura, senza problemi respiratori, pronte ad accumulare il materiale prezioso per il controllore dei lavori ma anche a celare qualcosa per sé, da recuperare quando fosse stato possibile e di necessità. Persone segnate dal segreto condiviso dei pericoli comuni, dei rimedi escogitati per affrontarli, per farsi valere e non essere trattate da pure «macchine viventi di produzione» per la ricchezza altrui. È su questi aspetti che desidererei gli studiosi più preparati di me portassero l’attenzione o mi (ci) segnalassero le conclusioni cui già fossero giunti. Mi chiedo e chiedo loro:

I) Si è indagato sulle caratteristiche fisiche dei minatori? Risulta che fossero per lo più o esclusivamente tipi di bassa statura? 

II) Erano dei liberi o degli schiavi? Oppure: dei liberi soggetti a qualche castigo o penalità? In altre parole: Le miniere del tipo quella di Val Inferna potevano essere intese come colonie penali? 

III) Risulta che Cibiana di Cadore fosse una colonia penale di Slavi, mandati quassù dal patriarca di Aquileia?

Ecco le domande sulle quali, con un po’ di coraggio, porto l’attenzione, perché alla fin fine interessa solo la verità.

Don Floriano Pellegrini

Le Cime del Mezzodì (foto di Marco Callegher).

***