DON FLORIANO, Si riparte. Il nuovo Blog del Baliato dai Coi

«Che è mai questo Baliato dai Coi di cui sentiamo parlare?».

Questa la domanda che molti facevano e alla quale noi di Coi e Col, antichi Masi di Scudo o Schildhöfe, nel 2017 abbiamo dato risposta con la creazione del Blog del Baliato dai Coi ( http://baliatodaicoi.altervista.org ).

Ancora grazie all’interessamento, allo stimolo e al costante appoggio del gruppo di amici albergatori de «La Caminatha» e di Giulio Cattaneo, che ha fatto i primi passi concreti per l’apertura del blog!

Di mese in mese, poi, il blog s’è arricchito di articoli, studi, documenti e fotografie. Ha sempre cercato di proporre, per quanto gli sia riuscito, testi e contenuti sufficientemente rigorosi, soppesati, magari anche coraggiosi in specifici interventi; materiali, insomma, tutti di buona e alcuni casi persino di alta qualità, che hanno fanno dei due villaggi di Coi e Col, uniti in un’unica comunità denominata Baliato, un punto di riferimento per tutte le Dolomiti.

Ora è difficile trovare qualcuno che non abbia sentito parlare del Baliato dai Coi o, semplicemente, di Coi e ognuno che viene a visitarlo, pur sapendo che in concreto troverà un piccolo paese, affiancato a quello di Col, e sapendo pure che in alcuni mesi lo troverà con poche persone e magari tanta neve, ne resta affascinato.

«È un paradiso qui!», dice qualcuno, «Come siete fortunati, che pace, che recupero di serenità interiore e di forze fisiche si ha qui!», «È possibile avere un appartamento in affitto, anche solo un monolocale? La prego di informarmi, se lo trova, ecco il mio numero di cellulare». In questo momento sulla scrivania, a settanta centimetri dalla tastiera alla quale scrivo queste note, ci sono otto bigliettini da visita, di persone che vorrebbero avere un appartamentino a Coi o a Col, comunque nel Baliato.

Sono affascinati dal panorama, dalla sensazione di pace e dalla storia di questi paesi. L’occhio, il corpo e la mente si appagano. Anche lo spirito, perché quassù manteniamo inalterate alcune tradizioni di cristianesimo che altri hanno buttato stupidamente alle ortiche; celebriamo ancora la S. Messa rivolti all’altare e non ai fedeli; ogni tanto facciamo qualche canto in gregoriano o secondo le melodie del patriarcato di Aquileja, nostra Chiesa madre, cui siamo affezionatissimi. Nelle feste più solenni recitiamo assieme il Credo di Aquileja, trasmessoci da Rufino; i giovani, se ci sono, o chi comunque si offre di farlo, nelle processioni indossa le mantelle settecentesche in quel color vinaccia che (come colore) piace tanto alle donne…

Tutto questo avviene, però, nella semplicità, mentre scorrono le stagioni e spesso il silenzio esterno alle case regna sovrano. E il sole canta nella luce che gorgoglia in ogni molecola dell’aria. D’attorno boschi e pareti rocciose, venti, maestosità di natura che sembra una Dea incarnata in mille forme, mentre si scioglie le trecce e si diverte a cambiarsi d’abito. D’autunno c’è la raccolta dei frutti della terra e dei pochi alberi da frutta che valga la pena di coltivare, mentre s’ode, di notte, il bramito dei cervi. D’inverno il mondo incanta con le sue splendide e immacolate distese di nevi e di ghiacci, azzurrate dall’immenso cielo sovrastante. In primavera s’alzano le nebbie e le nevi, riprende il canto del cuculo e tornano le rondini e la terra apre le finestrelle perché s’affaccino le erbe ed i fiori, in prolungati tappeti viola-bianchi di crochi e gialli di farfari e botton d’oro. L’estate ci consegna i paesi e il mondo nel suo fremito di fecondità e di piacere, nell’inseguirsi della luce e nel suo darsi appuntamento con le nuove albe alla penombra delle notti, sotto la volta stellata, mentre neppure il sonno degli occhi sembra affaticarsi e aver bisogno di riposare.

Mentre le ore scorrono all’esterno e all’interno di noi, qui almeno si può avere questo dono irripetibile di riconciliarci con noi stessi; di sentirci dire, e ripetere sommessamente e affettuosamente, che la nostra vita vale e può essere felice, per se stessa, non per le cose che la circondano o l’appesantiscono. Nella semplicità del Baliato, che nel suo nome richiama l’accudire amoroso delle balie, sentiamo prolungarsi l’abbraccio delle madri; e chi di noi, nella sua anima e nel suo corpo, non ne ha ancora, e sempre, almeno ogni tanto, desiderio e fors’anche bisogno?

Angeli custodi della nostra pace, guardiani e cavalieri alle porte del nostro rifugio di pace, Coi e Col, antichi Masi di scudieri templari, ci accolgono e continueranno ad accogliere anche da queste pagine sparse, da questi appunti «messi giù come vengono», da altri sguardi sul mondo, da fremiti di libertà e di amicizia, di gioia per la varietà e le ricchezze di ognuno, nel rispetto di tutti.

E i lettori benevoli, se non ancora assonnati da queste parole, ci perdoneranno d’averli intrattenuti qualche minuto, quando neppur’essi immaginavano di dedicarcelo oggi, e si chiederanno: «E, dunque? Che valga la pena andare lassù, a dare un’occhiata, a sentire il canto della vita, nel silenzio delle vanità, in un tempo di giusto distacco dalle preoccupazioni quotidiane?».

Viva il Baliato dai Coi, il paese nel quale si distribuisce in chiesa l’«Olio per la benedizione delle madri ai figli»!

Venga su di noi, su ognuno, questa loro benedizione!

Don Floriano Pellegrini

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