DON FLORIANO, Sul monumento della città di Belluno agli infoibati

La lapide dice: «Vittime delle Foibe / mi hai gettato nella fossa profonda / …nelle tenebre degli abissi. / salmi 87-88». Questo testo è oltremodo inadatto e tale che, a dire il vero, chi l’ha scritto dovrebbe vergognarsene. Questi i motivi:

1) La lingua italiana, per non dire il buon senso, voleva e vorrebbe che si fosse scritto e scrivesse: «Alle Vittime…», così come in latino si diceva, per fare un esempio: «Deo Optimo Maxino» (al dativo) e non certo: «Deus Optimus Maximus» (al nominativo).

2) Le «vittime delle…» in buon italiano significa: «Le vittime a causa delle…»; è una forma abbreviativa di quest’ultima frase. È vero che, nel parlare comune, tante volte si ignora e quindi involontariamente non si rispetta questa regola linguistica ma ciò non è ammissibile in un testo di importanza pubblica e civica, qual è una lapide posta da un’Amministrazione pubblica, da una città. Gli infoibati non sono morti per colpa delle foibe o perché, per una loro disattenzione nel camminare, siano finiti nel buco e nel crepaccio di una foiba, come potrebbe essere in un incidente in montagna o al mare. La frase cerca, volutamente, di nascondere la verità, la storia: gli infoibati furono, vivi o già uccisi che fossero, persone ammazzate, assassinate. Bisognava dire, perciò: «Alle vittime dei partigiani», perché, in ogni caso, al di là delle motivazioni e dei numeri relativi agli infoibati, a scaraventare quei cittadini nelle foibe, impedendo loro persino una normale sepoltura, furono i partigiani. Un bell’onore!

3) Non solo si tace, volutamente, il nome del soggetto colpevole dei crimini delle foibe, ossia – parlando in generale e senza far nomi – dei partigiani, ma si fa una citazione biblica che, per chi se ne intende appena appena di Bibbia, fa venire i capelli dritti in testa, essendo fatta molto male. Al punto che la frase citata viene persino a risultare un insulto a Dio, una bestemmia! E questo sarebbe il modo della città di Belluno di onorare gli infoibati?

Vediamo le cose con precisione. La lapide dice che la frase citata è presa dai salmi 87-88; questo fa credere che, trattandosi di una frase su due righe e con al centro i tre puntini, l’una sia presa dal salmo 87 e l’altra dal salmo 88. E, invece, no! Le due righe sono il versetto 7 del salmo 88 (87), per cui la citazione doveva essere scritta così: «Salmo 88,7» o, al più e volendo essere esageratamente pignoli: «Salmo 88 (87), 7». La lapide, pertanto, fa una citazione sbagliata.

Ma questo, per quanto dia fastidio (perché non è onesto far incidere nel marmo una cosa a casaccio), è ancora il meno. Ciò che veramente irrita e stupisce è che la citazione, come fatta, viene ad essere persino blasfema e il senso della frase un far colpa a Dio (anziché ai partigiani) della morte di quelle persone! Si va male persino a dirlo, ma l’assassino di quelle persone sarebbe stato Dio! Avete mai sentito qualcosa di peggio? Probabilmente no, venite a Belluno per leggerlo inciso sul marmo! Il soggetto sottinteso, trattandosi di un salmo, cioè di una preghiera, è Dio, e a Dio si dice, facendosi voce di quei poveri martiri dei partigiani: «Mi hai gettato nella fossa profonda / nelle tenebre degli abissi». Inaudito!

Nella Bibbia della CEI, approvata anche dai protestanti e pubblicata nel 1985, il salmo 88 (87) è definito: «Lamento di un disperato». Non è proprio un gran titolo, anzi, tutto sommato anch’esso è sbagliato (e ciò vada a vergogna dei vescovi e di chi ha fatto e approvato questa traduzione); era ben meglio scrivere come titolo: «Preghiera di un uomo in grande tribolazione». È, infatti, la preghiera di un uomo in stato di grave malattia ma non disperato; egli si rivolge a Dio e lo chiama suo salvatore, ma non ne può più dei suoi tormenti. Queste le prime frasi o, come si dice, versetti: «Signore, mio Dio, mio Salvatore, / io grido a te giorno e notte. / Giunga fino a te la mia preghiera, / non chiudere l’orecchio al mio pianto. /Sono sazio di sventure, / la mia vita è sull’orlo della morte. / Mi considerano finito, / un uomo ormai senza forze. / Sono abbandonato fra i morti, / come gli uccisi gettati in una fossa, dimenticati da te, per sempre, / lontani dalla tua mano potente. / Mi hai buttato nella caverna più fonda, / nelle tenebre degli abissi. / Pesa su di me la tua collera, / le tue onde mi sommergono. / Hai fatto fuggire i miei amici, / ormai faccio loro ribrezzo […]».

Come ben si vede, il salmista usa frasi con immagini forti, tali da rendere a pieno la sua situazione drammatica. La frase: «Mi hai buttato nella caverna più fonda, / nelle tenebre degli abissi» si colloca in questo suo modo di parlare ma è la preghiera di un uomo che, pur messo a dura prova e si sente quasi abbandonato da Dio nella caverna e negli abissi della morte, cioè – come diciamo noi – «con un piede nella fossa», continua a pregare, continua a sperare nell’aiuto di Dio. Aver preso questa frase e averla messa sulla bocca degli infoibati dai partigiani è veramente osceno. È farle cambiare completamente senso, oltreché cambiare senso al fatto storico in sé; è come dire che, alla fin fine, Dio ha voluto quelle morti, Dio le ha permesse, Dio le ha tollerate: prendiamocela con Dio, non con gli assassini!

Oh, che comodo! Allora, questa frase potrebbe essere applicata anche agli uccisi nei campi di concentramento, dicendo che, alla fin fine, quelle morti furono volute, permesse e tollerate da Dio; tutti i martirii, tutte le ingiustizie nostre, le schiavitù, gli sfruttamenti, le delinquenze, che volete mai? Sono permesse e tollerate da Dio, è lui il responsabile ultimo. Per questo non ci sono dubbi che il messaggio che quella lapide, vicino alla stazione ferroviaria di Belluno, trasmette, è di una indecenza senza pari. Essa dovrà essere rimossa al più presto e dimenticata altrettanto presto, perché non ci dobbiamo più vergognare di essere così indegni della nostra umanità da incolpare Dio (un Dio del quale magari si nega intanto l’esistenza) dei nostri errori, dei nostri crimini. Secondo questo vigliacco modo di agire e di ragionare, le povere vittime delle foibe vennero trascinate a morire e scaraventate a sfracellarsi sulle rocce sottostanti a colpa dei loro disattenti angeli custodi, di un Dio che s’era distratto, che ama questo sì e questo no, a seconda del credo politico.

Signor sindaco di Belluno, rimedii a questa vergogna! Non può fingere di non sapere queste cose; queste cose già per la seconda volta, a distanza di qualche anno, le vado scrivendo, inascoltato, vergognosamente inascoltato (anche da parte della diocesi), ma scripta manent. E la verità, che sembra silenziosa, è un ruggito, o un canto, che non si può prima o poi non ascoltare…

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2 Risposte a “DON FLORIANO, Sul monumento della città di Belluno agli infoibati”

  1. L’insipienza (o la disinformazione intenzionale, a pensar male) degli amministratori non ha limiti.

  2. Continua nel generale menefreghismo di tutti coloro che dovrebbero fare un passo per ricondurre nel solco della verità i fatti avvenuti e nel rispettare la religione la tracotanza nel travisare i fatti ad uso e consumo di certi ambienti politici che imperversano ormai indisturbati. Auspico che si avvicini il tempo per riportare le cose nel suo giusto ordine.

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