DON FLORIANO, Sulla pala «Madonna in trono con Bambino, San Pellegrino delle Alpi e San Nicolò da Mira» della chiesa del Baliato dai Coi

Di don Floriano Pellegrini

Sulla pala «Madonna in trono con Bambino, San Pellegrino delle Alpi e San Nicolò di Mira» della chiesa del Baliato dai Coi mi sia permesso esporre delle suggestioni e fare delle ipotesi, sperando di non «lavorare troppo di fantasia».

Il dipinto mi fa pensare ad una pala d’altare. Trovo assurdo anche solo ipotizzare che gli abitanti del Baliato dai Coi, cioè della comunità dei due villaggi di Coi e Col, convergenti sull’unica chiesa, di cui erano pure proprietari, avessero potuto permettersi il lusso, o capriccio, di un’opera così impegnativa senza ch’essa avesse avuto uno scopo pratico. Faccio pertanto l’ipotesi che, a seguito della costruzione della nuova chiesa, in faccia alla cappellina cimiteriale originaria, gli abitanti del Baliato abbiano desiderato dotarla di un nuovo altare, che sarebbe stato al posto dell’attuale maggiore, opera del 1618 del bellunese Jacopo Costantini.

Il dipinto mi fa pensare, poi, sia pure per semplice suggestione, alla pala di Sant’Anna, di Tiziano e bottega, della chiesa di Zoppè di Cadore. Zoppè è paese (e Comune) contermine al Baliato, in quanto a pascoli collettivi o regolieri; e tra le due chiese (in entrambi in casi prima cappelle e, ancora in entrambi i casi, parzialmente ancor oggi esistenti, come sagrestie) si celebravano ogni anno due processioni, una da Coi a Zoppè (per Sant’Anna, patrona, il 26 luglio) e una da Zoppè a Coi (per San Pellegrino, patrono, il 1° agosto), senza contarne altre, ad libitum, come le famose processioni per la pióa, per chiedere la venuta o la cessazione della pioggia (al riguardo ho scritto un articolo, parecchi anni fa).

Da questo confronto emerge che la pala zoldana non è una «sacra conversazione». Infatti, San Pellegrino, il santo principale (in quanto è alla destra della Madonna), titolare della chiesetta e patrono di Coi e Col (quindi il quadro è stato fatto proprio per il Baliato), come pure San Nicolò, titolare della chiesa di Fusine e patrono dell’intera parrocchia, hanno il capo coperto. Ora, se veramente all’artista fosse premuto evidenziare una conversazione, quel copricapo in testa ai due santi non l’avrebbe disegnato. Nel dipinto cadorino di Zoppè sia San Girolamo (a sinistra della Beata Vergine) come pure San Matteo hanno il capo scoperto, per lo stesso motivo di riverenza per cui sant’Anna, ai piedi del trono, l’ha coperto (fino a poco tempo fa, e in parte ancor oggi, infatti, le donne in chiesa portavano un velo).

San Pellegrino è raffigurato come un giovane, con la barba fresca e scura, lo sguardo (l’occhio destro) intenso, adorante, le labbra d’un rosso quasi femminile, pur senza essere tali; c’è della delicatezza, senza cadere nella sdolcinatezza. Un po’ più austero, ma come animato da un movimento proteso alla Madonna e al Figlio divino, il San Nicolò, raffigurato come un uomo anziano, con la barba bianca, l’occhio e le labbra più composte e riflessive. Il Gesù bambino è, in verità, ormai cresciutello ed ha lo sguardo, amabile, rivolto al fedele che, persona reale e fuori del quadro, lo sta osservando, e intanto Gesù lo benedice con la sua manina lievemente alzata, mentre la sinistra (se capisco bene) è volta ad abbracciare Maria sua madre, che a sua volta, con lo sguardo chino verso il Figlio divino, gli poggia una mano sulla spalla destra. Questa scena di madre e figlio, Maria e Gesù, che si abbracciano, mi sembra molto toccante e mi piacerebbe sapere quanto (in questo particolare) fosse richiamata e dipinta dagli artisti di allora.

Nella pala di Coi-Col abbiamo, in definitiva, tre uomini che, in età e situazioni diverse della vita, si trovano uniti nel «cerchio magico» dell’amore alla Beata Vergine, l’unica donna del gruppo, ma pur sempre colei che fa da perno ideale e punto convergente delle immagini; nel qual punto viene attirato e stimolato a convogliarsi spiritualmente anche il fedele. Una cosa simile è documentata anche nel quadro tizianesco di Zoppè; anche lì abbiamo, e con la stessa disposizione geometrica, un uomo giovane con barba colorata (San Matteo), un uomo anziano con barba bianca e fluente (San Girolamo), un bambino Gesù e Maria, sua madre, che lo tiene in braccio; il quarto personaggio a Zoppè è la titolare della chiesa, Sant’Anna (madre di Maria), che equivale idealmente al fedele (persona reale e non storica) della chiesa di Coi.

Notevole, mi sembra ma non vorrei fantasticare troppo, qualche altro particolare simile tra le due pale:

1) La simbologia: San Matteo è evangelista, San Pellegrino vinse il male o diavolo con la predicazione del Vangelo nella Gallia del Sud; San Girolamo porta le insegne di prelato e il cappello che richiama la dignità cardinalizia, cui rinunciò, e pure San Nicolò era prelato e vescovo;

2) La tonalità sull’azzurrino delle vesti sia di San Girolamo (la tonaca) che di San Nicolò (la dalmatica) e, addirittura (direi), di San Pellegrino (la casacca, in tutti e tre i casi l’abito più interno, in certo senso – ma non è del tutto giusto dir così – una sottoveste);

3) Lo sfondo a nuvole leggere e striate è in buona sostanza identico, per quanto la caduta di pigmento sulla tela di Zoppè renda meno evidente la coincidenza;

4) Identica pure la pavimentazione a formelle quadrate bicolori.

Siamo in presenza, pertanto, di un artista che si ispira alla scuola del Tiziano (Pieve di Cadore 1488-90 – Venezia 1576) o, almeno, dei Vecellio. Ad un dipinto che, ancora ignorato, costituisce un oggetto di sicuro interesse e richiamo dell’arte zoldana (è forse la più antica pala di Zoldo?) e bellunese del Cinquecento. Faceva parte, come ipotizzo, di un altare previo all’attuale, opera lignea del 1618 dello scultore bellunese Jacopo Costantini? È ragionevole pensare ad un’opera dell’artista, pure bellunese, Nicolò de Stefani (1520-1599)? La nota, e discutibilissima, proibizione che ho di accedere agli archivi ecclesiastici, mi impedisce di verificarlo, ma propendo per questa attribuzione. Sarebbe evidenziato, smentendo in parte quanto anche da me scritto in precedenza, che gli abitanti del Baliato dai Coi si sentivano ed erano in ottimi rapporti, quasi parte sia pur discosta, della Belluno di allora, civile, ecclesiastica e culturale.

Riporto, di seguito, la dotta scheda compilata dal prof. Flavio Vizzutti per la voce «DE STEFANI, Nicolò» del «Dizionario Bibliografico degli Italiani» (vol. 39, 1991), visibile in internet all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/nicolo-de-stefani_(Dizionario-Biografico)/ (teniamo pure, ché è del tutto legittimo, il cognome nella forma De Stefani, al plurale, ma io preferisco la forma al singolare e con il de al minuscolo, usati dal Lanzi nel 1818, in quanto certamente più esatti e indicanti, come in tutti i casi analoghi, un patronimico).

Vi leggo: «Le prime opere certe, testimoniate dal Piloni (libro IV), furono per le chiese cittadine: dipinse infatti le portelle della pala di Paris Bordon per la chiesa di S. Lucano; una Vergine tra i ssLorenzo e Caterina per quella di S. Croce e infine, l’unica di queste giunta sino a noi, per la chiesa di S. Stefano, Vergine e Bimbo tra quattro santi ed il committente Ceccati». Osservo: entrambi questi due dipinti hanno qualcosa che riguarda la val di Zoldo ed il Baliato. La chiesa di Santa Croce, in antico possedeva il maso di Mareson, poi andato in proprietà al nobile miles Federico degli Azzoni, trevisano venuto ad abitare a Belluno, possessore anche del territorio del maso di Pianaz-Coi. Nell’area di Col, poi, come appare dal fascicolo processuale del 1583-84 conservato al municipio di Fusine (quindi al tempo presumibile della pala di cui ora ci occupiamo, situata a Coi) i Crepadoni avevano un maso, detto del Carpè (nome derivante dal loro cognome, nella forma originaria di Carpedoni, altra famiglia di militari vassalli del vescovo-conte di Belluno); ebbene, i Ceccati erano, senza che stia a spiegare come, nient’altro che i Crepadoni-Carpedoni. Da qui, in me, una domanda: «Il quadro della chiesa di Coi fu fatto per interessamento di un Crepadoni-Ceccati? Fu egli, almeno, il suggeritore del nome dell’artista, al quale già personalmente si era rivolto?».

Del De Stefani sapeva ancora ben poco nel 1840 F. De Boni, che lo ricorda, comunque, nel suo enciclopedico «Biografia degli artisti» (Venezia, Co’ Tipi del Gondoliere; PDF scaricabile da internet) alla voce «Stefano (Nicolò di)» [adotta quindi, anche lui, la forma del cognome al singolare, con un italiano corrente di al posto dell’italiano arcaico de] (pp. 975-976) dicendo: «Pittore, nato in Belluno circa il 1500, fu il più ragguardevole emulo che avessero nella loro patria i Vecelli Francesco e Cesare. Un suo Deposito di croce, ch’è nella cattedrale di Belluno, però figurerebbe assai meglio se non fosse in faccia ad uno bellissimo di Cesare Vecellio, rappresentante san Sebastiano ed altri santi. Ad ogni modo Nicolò fu assai buon pittore, né sempre minore ai Vecelli, e se le tinte dei suoi quadri non fossero soverchiamente annerite, potrebbesi dare più vantaggioso giudizio del suo colorito. Pare che avesse preso qualche cosa del fare del Pordenone. Ignorasi l’epoca della sua morte».

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Nicolò De Stefani

Del prof. Flavio Vizzutti

Pittore sicuramente bellunese (Piloni, 1607), nato attorno al 1520. Non si hanno documentazioni sulla sua iniziale formazione artistica, tuttavia il Lanzi (1818) dice che a Belluno «a tempo de’ Vecellj fiorì un Nicolò de Stefano pittor degno che si pregi e perché competé con la famiglia di Tiziano, e perché da lei non fu sempre vinto. I Vecellj competitori furon Francesco fratello e Orazio figlio di Tiziano».

Le prime opere certe, testimoniate dal Piloni (libro IV), furono per le chiese cittadine: dipinse infatti le portelle della pala di Paris Bordon per la chiesa di S. Lucano; una Vergine tra i ssLorenzo e Caterina per quella di S. Croce e infine, l’unica di queste giunta sino a noi, per la chiesa di S. Stefano, Vergine e Bimbo tra quattro santi ed il committente Ceccati. Il Miari (1842), facendo il nome del D., descrive due dipinti raffiguranti l’Eterno Padre SGiovanni Battista, già nella chiesa di S. Martino, oggi nella cripta della cattedrale bellunese.

Nel 1572 (Verci, 1775) egli concorse insieme con Fabrizio Vecellio e con Iacopo Dal Ponte detto Bassano per ottenere la commissione della pala di S. Lorenzo martire nel duomo di Belluno; la scelta del Consiglio dei nobili fu però per il Dal Ponte. Al 1578 (Buzzati, 1890) è assegnabile la paletta della chiesa di S. Antonio in Col a Bolzano Bellunese, con la Madonna e l’Infante in trono tra i ssAntonio da Padova e Antonio abate. Il 15 nov. 1580 il D. venne pagato per aver decorato il tabernacolo, oggi perduto, della parrocchiale di Rocca Pietore (Belluno). L’anno dopo, da parte della Scuola della Madonna di Mel, gli venne parzialmente corrisposto il pagamento di un gonfalone da lui eseguito; il saldo avvenne in più riprese tramite versamenti documentati nel corso del 1582 e del 1584 (Claut, 1984).

Al 1594 (Buzzati, 1890) risalirebbe la pala con la Vergine tra i ssSebastiano e Rocco della chiesa di Vezzano (Belluno). Il 19 febbr. 1598 il Consiglio dei nobili di Belluno, per ornare la cappella del palazzo rettoriale, lo incaricò di eseguire la pala con la Madonna e il Bimbo tra le ssGiustina e Caterina della quale oggi resta solo la descrizione (Miari, 1842; Da Borso, 1968).

Morì a Belluno il 22 ott. 1599 (F. Pellegrini, integr. ms. 514 senza titolo di F. Miari conservato nella Bibl. civica di Belluno, p. 86).

Altri dipinti eseguiti per le chiese della provincia di Belluno – ove il D. operò ampiamente (Cavalcaselle, 1878) -, sebbene non espressamente citati dalle fonti, sono tuttavia riconducibili al suo stile. Datato 1553 è il Compianto su Cristo con la Madonna e santi della chiesa suburbana di S. Liberale di Pedeserva: qui, accanto ai consueti moduli vecelliani, sono reperibili suggestioni derivate dalle opere che Paris Bordon aveva lasciato nel Bellunese (Lucco, 1983). Nella chiesa parrocchiale di Cavarzano, fuori Belluno, è custodita una pala a lui sicuramente riferibile con la Vergine ed il Bimbo tra i ssAntonio abate e Michele arcangelo; nello pseudo cimiero è dipinto il Padre Eterno in una gloria angelica. L’insieme, che palesa influenze bordoniane, si contraddistingue per la cromia fluida e vivace.

Delicata è la costruzione cromatica della paletta con la Madonna e il Bimbo tra sGiorgio e un santo martire (Vena d’Oro, Belluno) che si segnala anche per l’equilibrio formale. Ricalca schemi bordoniani la tela di Torch d’Alpago (Belluno) raffigurante la Vergine con il Bimbo tra i ssRocco e Sebastiano (Lucco, 1983).

Al catalogo del D. forse va ascritta la predella della cripta della cattedrale di Belluno con quattro Episodi della vita del Battista, nella quale ricorrono immagini e soluzioni figurative tipicamente destefaniane. Strettissimi legami con le opere documentate attesta l’apprezzabile pala della chiesa di S. Nicolò a Tisoi (Belluno), prossima a quella della parrocchiale di Polpet ove il gruppo con la Vergine assisa ed il Bimbo è praticamente sovrapponibile (ibid.). Non si distanzia affatto stilisticamente la piccola tela con la VergineBimboquattro santi e committente del seminario Gregoriano di Belluno (Vizzutti, 1983).

Notevoli sono la bellezza paesaggistica e i penetranti ritratti dei committenti della tela con il Battesimo di Cristo della chiesa bellunese di S. Stefano, credibilmente assegnata al D. (Gover, 1983). Il Ticozzi (1817) ed il De Boni (1840) lodano inoltre un suo dipinto raffigurante la Deposizione di Cristo dalla croce, già nella cattedrale bellunese, oggi non più rintracciato.

L’attività del D. – attualmente ancora oggetto di indagini – certifica comunque il ruolo che la tradizione vecelliana e l’arte di Paris Bordon hanno avuto nella sua formazione. A queste fonti egli guardò costantemente per trarne ispirazione e spunti che profuse poi nella sua dignitosa pittura.

Fonti e Bibl.: G. Piloni, Historia … [1607], a cura di L. Alpago Novello-R. Protti-A. da Borso, Belluno 1929, p. 288; G. B. Verci, Notizie intorno alla vitaalle opere de’ pittoriscultori eintagliatoridella città di Bassano, Venezia 1775, p. 113; L. Doglioni, Notizie istoriche e geografiche della città di Belluno e sua provincia … [1780], Belluno 1816, pp. 36 s.; S. Ticozzi, Vita dei pittori Vecellj di Cadore, Milano 1817, p. 275; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia…, III, Bassano 1818, p. 113; Belluno, Seminario Gregoriano, Fondo Ada Borso, ms. non inv.: A. Agosti, Giornale pittorico che contiene alcune Memorie dei quadri delle pitture e sculture… nella città e provincia di Belluno18211829, p. 15; Belluno, Bibl. civica, ms. 873: L. Doglioni, Elenco delle pitture pubbliche della città di Bellunorettificato li 14 sett1831 da ATessari, pp. 3 s.; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 1840, pp. 975 s.; F. Miari, Un solo giorno a Belluno, Belluno 1842, pp. 4 s.; Id., Dizionario storicoartisticoletterario bellunese, Belluno 1843, p. 64; G. Alvisi, Storia di Belluno e sua provincia, Milano 1858, pp. 759 s.; P. Mugna, Delle scuole e degli uomini celebri di Belluno, Venezia 1858, p. 25; F. Miari, Cronache bellunesi inedite, Belluno 1865, p. 201; G. B. Cavalcaselle, Tiziano la sua vita e i suoi tempi, II, Firenze 1878, p. 451; A. Buzzati, Bibliografia bellunese, Venezia 1890, p. 463; F. Pellegrini, Catalogo dei pittori bellunesi dal secXIV in poi, Belluno 1892, p. 8; G. Mieville, Brevi cenni storici su Rocca Pietore antichissima magnifica comunità del Bellunese, Feltre 1939, p. 22; A. da Borso, Pittori bellunesi, in Archstordi BellunoFeltre e Cadore, XXXIX (1968), p. 4; M. Dal Mas-A. Giacobbi, Chiese scomparse di Belluno, Belluno 1977, pp. 15 s.; M. Murer, Ruprecht Potsch scultore e pittore dell’altare e pala della chiesa di Rocca Pietore, Belluno 1977, p. 69; F. Tamis, Storia dell’Agordino, Belluno 1980, p. 191; F. Vizzutti, NDpittore bellunese del Cinquecento, in L’Amico del popolo (Belluno), 25 nov. 1983, p. 3; F. Gover, Per un probabile ND., in Archstordi BellunoFeltre e Cadore, LIV (1983), p. 104; M. Lucco, Avvio per ND., in Eidos, I (1983), pp. 28 s.; S. Claut, Il pittore bellunese ND., in Archstordi BellunoFeltre e Cadore, LV (1984), pp. 96 s; F. Vizzutti, Breve storia della pittura bellunese dal secXV al secXIX, Belluno 1986, ad Indicem.

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Aggiunta. Sull’affresco di casa Rizzardini Tisót

Mio articoletto del 20 maggio 2010

«Sull’affresco sopra la porta d’ingresso è scritto: “Anno à part: / Virgine / MDCCXIIJ”, “Nell’anno dal parto della Vergine 1713”, noi diremmo più laicamente: “Nell’anno 1713”. Il Virgine è inesatto, bisognava scrivere Virginis; ciò non toglie che l’affresco sia pregevole, per quanto non se ne sia ancora scoperto l’autore. La Virgo, la Vergine è, evidentemente, Maria, la Madonna. Interessante questa prospettiva mariana, nella cronologia, allora in uso e poi pressoché decaduta, che privilegiava l’attenzione alla Madonna su quella allo stesso Cristo o cristologica; noi oggi usiamo quasi solo questa secondo e diciamo per solito: “Dalla nascita di Cristo” e non: “Dal parto della Vergine”. A scanso di equivoci, creati dalla tabella turistica antistante, i santi che stanno ai lati della Madonna sono San Pellegrino delle Alpi e San Nicolò da Mira (o da Bari), patroni del villaggio e della parrocchia; ma perché questi consulenti non si consultano con gli studiosi del posto, quando fanno cose pagate con soldi pubblici?».

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