DON FLORIANO, Un pessimo modo di insegnare – SOLAROLI, Gli albori dell’istruzione a Faenza (e in generale)

Di don Floriano Pellegrini. Articolo già spedito l’8 dicembre 2013, come comunicato n. 1254 de «Il Libero Maso de I Coi»

Mi sono stati regalati alcuni documenti, di poco valore, ma li conserverò.

Tra essi vi è un quaderno scolastico, di malacopia ma controllato dal maestro, che vi appone delle annotazioni autografe. Dalla grafia, risulta evidente che il ragazzo ha difficoltà di apprendimento, come pure ch’esse erano ben poco comprese e neppure sopportate dall’insegnante, che s’innervosiva e dava compiti assurdi. Poi, visto l’insuccesso, faceva scrivere frasi di questo genere: «Occorre ripassare; non si sanno bene le forme dei verbi essere, avere, regolari e irregolari…», «Che io sia rimproverato, dal verbo rimproverare; noi fummo sorpresi… che fossi visto… saremmo rincorsi…».

Che scene s’intravedono in quell’aula!

Dulcis in fundo, le punizioni, come quella di scrivere cento volte un testo di dieci righe: una vendetta, che l’insegnante autogiustifica con un’ulteriore minaccia: «Se vuoi farlo [cioè venir punito] un’altra volta, sai cosa devi fare».

Ce n’è abbastanza da inorridire!

Eppure non si era nell’Ottocento, nel Settecento, nel medioevo, ma nell’Italia post-sessantottina, a fine anno scolastico 1977-78.

Come sia andata a finire, non lo sapremo mai, perché sia quel povero ragazzo che i suoi genitori in Zoldo non ci sono più.

Aula scolastica di qualche anno fa.

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SOLAROLI, Gli albori dell’istruzione a Faenza (e in generale)

di Luigi Solaroli. Da: http://www.historiafaentina.it/Storia%20Medioevale/albori_istruzione_faenza.html . Nota: Aggiungiamo questo interessante articolo, lasciandolo com’è, contestualizzato a Faenza, anche se quello che ci interessa sono le notizie generali sull’istruzione di un tempo; questa contestualizzazione rende meglio anche il senso delle parti generali.

Nell’Alto Medioevo (dal 476 fino all’anno 1000), fu soprattutto la Chiesa a occuparsi dell’educazione dei giovani, tranne le famiglie nobili che spesso assumevano dei religiosi per l’istruzione dei propri figli. Le scuole avevano quasi sempre sede all’interno dei monasteri. Esistevano anche scuole parrocchiali, che fornivano un’alfabetizzazione di base, specie a bambini destinati al sacerdozio o ad incarichi all’interno della Chiesa.

Faenza, come tutte le città, seguiva questo modus vivendi anche se non si sono trovate fonti storiche per documentarlo. Solo dal sec. XII tra i canonici cominciano ad apparire dei magistri (celebre il nostro storico Tolosano); in un documento faentino contemporaneo di san Pier Damiano (la carta d’Eutichio del 1045), troviamo le firme di due scolastici, e cioè di due persone addette all’insegnamento nelle scuole primarie: Ildebrando, grammatico, e Rainerio insegnante del trivio (grammatica, retorica e dialettica); questo Rainerio potrebbe essere stato il maestro dello stesso san Pier Damiano, che frequentò le scuole faentine attorno l’anno 1020. Lo stesso san Pier Damiano c’informa sui programmi di queste scuole primarie e la sua testimonianza è tanto più preziosa in quanto è isolata nei secoli e potrebbe anche riferire la sua esperienza faentina: «…nelle scuole – scrive – dove i fanciulli ricevono le prime nozioni per articolare le lettere, alcuni di questi fanciulli si chiamano abecedarii, alcuni poi nominarii ed infine calcolatori», e già nell’udir questi nomi ci facciamo un’idea del grado d’istruzione di quei fanciulli.

Proviamo ora a spiegare il significato di questi livelli d’istruzione:

* ABECEDARII erano i fanciulli che cominciavano a leggere (e poi anche a scrivere se…. volevano farlo), lettera per lettera. a b c d…….;

* i SILLABARII leggevano sillaba per sillaba e non in ordine alfabetico. A chi potesse giudicare eccessiva la distinzione fra le due classi, faccio osservare che nel medioevo la lettura delle sillabe era molto più difficile di oggi, sia per i nessi che potevano modificare la pronuncia (ae, oe, ph, ti, ci, gi e ge si pronunciavano ancora ghi e ghe, sia per le numerose abbreviazioni: la lettera p, ad es. poteva leggersi in quattro modi: prae, pro, per e post a seconda dei segni che l’accompagnavano), così la lettura delle sillabe costituiva un notevole passo nell’istruzione primaria del Medio Evo;

* NOMINARII erano gli scolari che non solo leggevano parole intere, ma si rendevano conto del loro significato; calcolatori, questi imparavano fare i conti e le regole più elementari di calcolo.

Come esame per le materie letterarie, doveva esserci (se c’era), una prova molto semplice: bastava far leggere e interpretare (o magari anche scrivere sotto dettatura), parole o frasi come questa: «Ferunt Ophir convexa kymba per liquida gazas», che significa: «Navi panciute attraverso il liquido elemento trasportano ricchezze ad Ofir». Ma cosa interessava ai ragazzi tale frase? La frase aveva la particolarità di incorporare tutte le 24 lettere dell’alfabeto latino, comprese le più rare: k x y e z; ecco, chi sapeva leggere e scrivere questo verso, veniva diplomato.

Una curiosità, quante persone a Faenza sapevano leggere o scrivere nell’Alto Medioevo? I documenti scritti, che si trovano nei nostri archivi storici tra l’883 a tutto il 1099, sono complessivamente 77 e contengono ben 314 sottoscrizioni, senza contare quelle del tabellione o del notaio scrivente; ora di questi 314 sottoscrittori, 151 firmano e 163 fanno il segno della croce, «…quia scrivere nesiverunt», «perché non han saputo scrivere», annotava il notaio; erano quindi poco meno della metà quelli che sapevano scrivere (ma coloro che avvicinavano il notaio erano pochi, solo i ricchi e benestanti. N.d.R.).

Forme scolastiche si avverarono anche presso le pievi e parrocchie nei riguardi di ragazzi candidati al sacerdozio, ma anche abbandonati. Usavano nel X secolo, i salterii corali, scritti con lettere grandi da potersi leggere da lontano da più ragazzi, generalmente costoro imparavano a leggere, ma non a scrivere. L’alto prezzo del materiale occorrente, prima dell’introduzione dell’uso arabo (cioè il cinese), della carta, impediva la scrittura presso le campagne.

Nella nostra regione la più antica cartiera è bolognese e risale a prima del 1200: a Faenza il primo libro a stampa esce nel 1476, ad opera della stamperia Simonetti, mentre la prima rivendita di carta risale al 1377.

Lezione alla Sorbona di Parigi, metà XV secolo, da un manoscritto medioevale.

Nell’alto medioevo sanno scrivere appena la maggioranza degli ecclesiastici, cui è affidata la trasmissione della cultura; coloro che lo fanno per mestiere: scribi, tabellioni e notai; quelli che lo fanno per studio: scolastici e legisperiti e coloro che sono impegnati nella vita civile: consoli, giudici e castaldi (dignitari con funzioni amministrative. N.d.R.); non sanno scrivere e non firmano mai le donne, (anche l’abbadessa Remengarda fa la croce, vedi documento del 1061), e la gente di campagna.

Agli albori dell’Unità [politica] d’Italia (1860), l’insegnamento elementare era limitato alle prime quattro classi maschili, e si provvide ad estenderlo anche alle femmine; in genere queste erano istruite in istituti religiosi o da maestre private. Sotto lo Stato italiano, era giudicato analfabeta colui che non sapeva leggere e scrivere, quindi firmava con una croce; in caso di documenti ufficiali, il notaio certificava la croce. Era giudicato alfabeta colui che aveva posto la firma nel registro matrimoniale o elenchi elettorali, e conosceva il requisito della tecnica di lettura. Fra l’alfabeta e l’analfabeta, vi era la zona grigia dei semianalfabeti: colui che legge ma non sa scrivere, colui che legge e scrive ma non capisce ciò che legge e coloro che non sanno scrivere altro che vada al di là della firma.

A Faenza, nell’anno 1863-64, gli alunni iscritti nelle dieci classi elementari del comune erano 439; furono aperte anche sei classi serali con 252 alunni e alla fine dell’anno 48 alunni delle scuole diurne risultarono non frequentanti e 68 furono bocciati. Delle scuole serali solo 155, corrispondenti al 60% degli iscritti, si presentarono agli esami e 135 furono promossi. Alta la selezione tra gli alunni anche dopo vent’anni dall’Unità. Tra i 1911 alunni obbligati alla scuola nell’anno 1881-82, il 40% circa, cioè 811 alunni, non adempirono l’obbligo. I motivi della mancanza furono dati al 35% dalla miserabilità, il 20% per lontananza dalla scuola, il 25%  per indolenza dei genitori e i rimanenti motivi da cause varie. Con questa diffusa mancanza all’adempimento dell’obbligo scolastico, il livello d’analfabetismo dei Faentini, dopo l’Unità, era necessariamente alto, considerando, anche, che nello Stato Pontificio la scuola non era obbligatoria.

La Chiesa dava l’impressione che il saper leggere e scrivere fosse un lusso inutile. Solo i funzionari dello Stato dovevano accedere alla conoscenza delle scritture, oltre agli impiegati e coloro che erano dediti al culto, «….purché non spropositassero troppo nella lettura dell’ufizio e del messale…».

Quanti intendevano insegnare ai fanciulli, dovevano sottostare all’ approvazione del vescovo (Leone XII, bolla «Quod Divina Sapientia» del 1825), il quale decideva se concedere le licenze all’insegnamento, previo accertamento della professione di fede. Per i maschi, le materie prescritte erano: dottrina cristiana, lettura, elementi di lingua italiana, rudimenti di grammatica latina, aritmetica, calligrafia, principî di geografia e di storia. L’insegnamento femminile si restringeva a due: dottrina cristiana e lavori. Per la lettura e scrittura alle femmine occorreva una speciale approvazione. Fra le varie prescrizioni vi era quella di non accettare fanciulle con età superiore ai tredici anni, perché non potevano girare da sole in strada.

Nel 1871, dei 18.284 maschi residenti solo il 22% sapeva leggere e scrivere e il 9% sapeva solo leggere. Delle 18.015 femmine sapevano leggere e scrivere solo il 19% e il 4% era in grado di leggere. La percentuale d’analfabetismo era al 76% della popolazione.

I problemi scolastici non si limitarono solo all’analfabetismo. Nelle scuole tecniche furono più gli alunni che abbandonarono gli studi rispetto a coloro che ottennero la licenza: 130 i licenziati, 150 gli abbandoni. «Queste scuole – scrisse nel 1876 il professore faentino Carlo Calderoni – in luogo di preparare alla patria una classe di operai laboriosi ed intelligenti, servono piuttosto a creare un’immane ed inetta burocrazia, pronta a divorare le sostanze dei Municipi e dello Stato». Ma l’indagine del prof. Calderoni non prese in considerazione la scuola d’arte e mestieri del Comune di Faenza, che ha avuto, invece, un ruolo importantissimo per il mondo artistico e artigianale della città, considerando che agli albori del Novecento iniziarono a funzionare scuole di formazione artigianale e industriale, scuole di disegno, scuole per l’agricoltura e scuole commerciali. In pari tempo, esistevano formazioni di livello superiore, quali il Ginnasio e il Liceo classico «E.Torricelli». Il resto è storia contemporanea.

Lezione a scuola, in un disegno dell’ ‘800.

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