LONZI, Bortolo pittor di Goima

La dott.ssa Lonzi

Ecco i due PDF della dott.ssa Letizia Lonzi:

Brevi considerazioni di don Floriano Pellegrini

«Non tutti gli artisti lasciano il segno, talvolta neppure nella storia locale. Alcuni, di cui si sa ben poco, sono apparsi come meteore; altri ancora vengono ricordati solo dalle fonti antiche senza poter avere un riscontro materiale ben preciso. Scorrendo i registri per le spese delle Fabbricerie o i libri di conti delle Regole cadorine, a volte – e con un po’ di fortuna – si individuano nomi di pittori o scultori o “indoradori” definiti “Magistri” e allora, mossi da curiosità, si cerca di definirne l’origine e la collocazione temporale. / Qualche decennio fa Marcello Rosina, maestro elementare e studioso di storia cadorina, aveva pubblicato alcuni articoli sull’”Amico del Popolo” a proposito di un certo Bortolo Mulini […]»: queste le frasi iniziali di un articolo della dott.ssa Letizia Lonzi, che qui segnaliamo.

L’apprezzata studiosa cadorina (risiede nell’amena borgata calaltina di Rizzios) ha cercato di sapere qualcosa in più su tale Bortolo Mulini ed ha esposto le risultanze delle sue ricerche in un articolo su «Il Cadore» del presente marzo 2020, a p. 17. Con gentilezza, di cui le siamo grati, ci ha permesso di divulgare tale articolo e a noi corre l’obbligo di aggiungere che si tratta del mensile ufficiale della Magnifica Comunità di Cadore, con sede nello storico palazzo di Pieve, al quale – tra l’altro – ci legano varie vicende e molteplici ricordi (il mensile è acquistabile nelle edicole o può essere ricevuto direttamente a domicilio, su abbonamento annuo di 25 euro).

Sapere chi fosse «Bortolo pittor» interessa anche a noi della valle di Zoldo perché, proprio per le ricerche della Lonzi, è certo ch’era originario di Gòima, valle secondaria di quella complessiva di Zoldo (il toponimo in origine si riferiva solo alla parte bassa ossia all’area di Pieve e Forno, forse senza neppure riguardare quella contermine di Astragal, come abbiamo analizzato in precedenti articoli). Scrive la dott.ssa Lonzi: «Dalle ricerche svolte dalla scrivente in Cadore si ricava anche che tal Bortolo, definito de Molin, compare nei documenti dell’Archivio parrocchiale di Nebbiù quando nel 1692 vien pagato 77 lire e 10 centesimi “per aver datto il color alli do Christi et accomodato il quadro et li do Peneli”. In questa circostanza viene definito “pittor di Guoima” […]».

Sarebbe interessante sapere qualcosa in più, ma non sarà del tutto facile averla. Abbiamo questi cinque dati certi: il nome (Bortolo), l’epoca in cui visse (la seconda metà del 1600), la località di provenienza e probabilmente di nascita (Goima e, per la precisione, Molin di Goima, in Val di Zoldo), la professione (pittore, senza meglio specificare), l’area di attività, almeno per un periodo (il Cadore centrale). Abbiamo un sesto dato quasi certo: il cognome (Molin).

A questo punto la ricerca può procedere anzitutto in loco, cioè andando all’archivio parrocchiale di San Floriano di Pieve di Zoldo, dove dovrebbe essere conservata pro tempore anche la parte antica dell’archivio parrocchiale di San Tiziano di Goima. E procedere, secondo me, iniziando dal registro dei morti post 1692 o, comunque, degli inizi 1700, per vedere se nella registrazione del decesso di un Bortolo (Bartolomeo o Bartolamio et similia) non compaia l’indicazione (possibile) di pittor. A quel punto sarebbe meno difficile risalire alla data di nascita o, per essere precisi, a quella di battesimo, perché era questo il dato che interessava alla Chiesa, secondo le disposizioni del Concilio di Trento, dettate appena il secolo prima, e scrupolosamente osservate.

Non risulta che in Zoldo ci sia stato alcun sacerdote cognominato Molin, eccetto il padre gesuita Mosè Egidio Molin Pradel, che è però del storicamente recente 1912; questo è segno che le famiglie Molin non erano certo caratterizzate da grande benessere; dal punto di vista archivistico, ciò rappresenta un limite, in quanto si hanno minori tracce delle vicende dei membri delle famiglie Molin.

Un’altra fonte utile potrebbe essere l’incartamento relativo alla costituzione della curazia di San Tiziano di Goima, staccatasi dalla pieve di San Floriano l’8 marzo 1708 e divenuta parrocchia indipendente nel volgere di pochi anni, cioè il 5 settembre 1726. Sarebbe interessante vedere se, in tali occasioni (soprattutto la prima), il Bortolo pittor vi compaia, con qualche contribuzione o, almeno, tra i richiedenti la costituzione della curazia e poi parrocchia. Ma anche se non vi compare, avremmo un’indicazione utile a suo riguardo, poiché saremmo nella necessità di capire il motivo di tale silenzio sul suo nome.

Infine, una fonte utile, sia in Val di Zoldo come in Cadore, può essere il rinvenimento del nome di Bortolo pittor in qualche altro registro di Regola o di amministrazione ecclesiastica, di questa o quella natura, come pure in qualche incartamento privato. Non è da escludere che vengano alla luce piccoli fondi, come fu per i quattordici documenti inediti riguardanti l’incisore Pietro Monaco, di cui ho dato notizia e offerto la trascrizione, il 2 luglio 2011, con il n. 161 dei «Comunicati del Libero Maso de I Coi». È però realistico credere che, nel breve tempo, non avremo altre ricerche o altre informazioni; poi, chissà, un giorno fortunato…

La gentilezza della dott. Lonzi ci ha messo ha disposizione un PDF con il suo articolo «Ombre e luci vecelliane a Calalzo. Un enigma per Orazio e qualche inedito per Francesco» («Studi Tizianeschi», IX, 2016, Ed. Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore, pp. 89-98). In tale articolo analizza le attribuzioni ad Orazio Vecellio, figlio di Tiziano, del «gruppo di quattro quadri recentemente restaurati e ora fissati sulle pareti del presbiterio della chiesa parrocchiale». Nella sua dotta e inedita analisi, ricorda lo studio del m.o Rosina cui accenna nell’articolo su «Il Cadore» e, quindi, il Bortolo Mulini (così veniva chiamato) di cui poi, a p. 91, presenta la riproduzione dell’Adorazione dei Magi, rientrante nel gruppo dei quattro quadri (dipinti su entrambi i lati) accennati. Non voglio introdurmi in valutazioni che non sono in grado di fare; mi sia però consentito dire che, d’istinto, lo trovo un lavoro un po’ ingenuo sì ma, nella sua semplicità, dignitoso.

Questa copia, eseguita da Bortolo, è del 1695, i suoi lavori a Nebbiù sono del 1692. In questi anni, pertanto Bortolo era in centro Cadore. Che la copia dell’opera calaltina attribuita ad Orazio Vecellio sia stata commissionata a Bortolo su richiesta del nobile don Gianfrancesco Gera, di Candide, mi fa ipotizzare, se non dedurre, che Bortolo si fosse fatto una fama positiva, che «s’era fatto onore».

Antico zoldano dell’Ottocento, non identificato. Il Bortolo pittor non doveva essere molto dissimile (dalla pagina FB di Renato Mosena, come la seguente)
Un foghèr o focolare zoldano. Magnifico!

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