PARMA, Dilucidazione al dubbio intorno due opinioni del N.H. D. Tiepolo, III

 Nella foto: Venezia, antica fotografia di ricamatrici a Castello.

Origine della Nazione Veneziana e del suo Governo.

Essendosi dimostrate ripiene di genti le isole e i lidi della laguna prima della barbarie, ed in questa crescere il loro numero; quelle genti provvidero all’interno ordine sociale coll’annua elezione di un tribuno per ogni isola, né meglio fondar potevano la democrazia, che esercitando il suffragio popolare nella elezione dei proprj Magistrati. Imperocché nessun popolo è atto a governarsi da sé; ed è indispensabile che esso deleghi alcuno all’amministrazione, alla giustizia, alla cura della pubblica sicurezza. Tale ordinamento civile continuò per oltre due secoli; dacché i Veneziani furono costretti dai barbari di intieramente disgiungersi dal continente. La discordia e l’incuria dei Tribuni, indusse poscia l’intera nazione a crearsi un capo col titolo di Dux; che Doge poi, e Dose nell’andamento del veneziano dialetto si disse popolarmente, né però un tanto mutamento nella forma civile sarebbe mai avvenuto, se quel Governo originariamente fosse stato Aristocratico. Imperocché l’Aristocrazia, e molto meno la ereditaria, spontaneamente non si spoglia per qualsiasi estremo accidente del suo potere. Ella avrebbe tentato invece ogni sforzo per mantenersi, abbattendo la parte più debole e discorde, né un capo si sarebbe dato giammai.

Se popoli industriosi e frequenti non fossero anteriormente esistiti nella laguna, come avrebbero potuto a un tratto avervi immediato asilo, vitto, acqua da bere, barche, servigio di remiganti, le migliaja di ricche famiglie, che con alcuni servi e clienti, sospinte dalle spade degli Unni, vi si erano rifuggiate? Come senza quegli ajuti avrebbero potuto provvedere alle infinite necessità della vita, rendute tanto più urgenti, quanto più agiate e sontuosamente avvezze erano quelle famiglie? Esse però furono suddite dell’impero e da romane istituzioni regolate nelle città che abbandonavano; quindi se clienti ed artigiani nella migrazione le accompagnarono, questi per le opere loro rendendovisi più importanti, conservar dovevano gli antichi loro diritti, e meglio combinarsi cogli isolani, navigatori, salinaruoli, ed agricoli, e si vuol anche pescatori e cacciatori; per li quali profittando insieme del denaro dei ricchi, aumentarsi le loro industrie. Crebbero infatti con tali mezzi i riuniti abitatori delle isole in potere ed in naviglio, e prosperarono così celermente da diffondere pe’ fiumi coi loro battelli, quale sciame di api, il sale per tutto il continente, da far noleggiare le loro navi al gran Teodorico[,] da soccorrere nel principio del VI secolo Belisario, e da trasportar poco dopo pe’ loro lidi l’esercito di Narsete a Ravenna. Cassiodoro nella 24 lettera ci dipinge la democratica condizione degli abitanti le lagune, ed ogni loro ricchezza: Habitatoribus una copia ut a solis piscibus expleatur… in Salinis autem exercendio tota contentio est: pro aratris pro falcibus cylindros volvitis, inde vobis fructus omnis enascitur; devesi osservare, che questi pescatori e salinaruoli non erano servi ma sì abitanti delle isole, che l’industria così estesa del sale esercitavano, onde permutarlo con tutte le immense altre loro bisogne; quell’industria esigeva numerose braccia, onde appianare e livellare il fondo delle saline, tenervi a poca altezza costanti le salse acque, agevolarvi la loro evaporizzazione, raccogliervi esorbitanti masse di sale, deporle in magazzini, e colle proprie barche sempre diffonderlo per tutto il continente; iscambiare sale con ogni sorta di generi e di manufatti. Quindi nelle saline – tota contentio est, inde vobis omnis fructus enascitur.

Mentre gli isolani prestavano così essenziali ajuti ai forestieri fra lor ricovratisi, e prosperavan con essi; il Governo che nasceva dai reciprochi bisogni, era democratico. Tale ce lo accennano anche i cronisti. Il popolo di tutte le isole raccolto in generale assemblea o concione od arrengo collaudava le proposizioni per la difesa comune, le guerresche imprese, e le nuove forme di cui il Governo abbisognava.

Quando la nazion Veneziana conobbe convenirle, per meglio difendersi da Longobardi, di contrare in un sol capo l’autorità, che ella aveva delegata al consesso dei discordi Tribuni, manifestò colla resistenza ad essi il proprio volere, concorse all’arrengo in Eraclea, ed approvò la proposta del Patriarca Cristoforo, decretando: Ducem sibi praesse.

Né si vorrà più credere, che quell’arrengo si componesse del Clero e de’ soli Nobili, od anche Ottimati, cioè, che quest’ultimi dovessero essere nobili od altri distinti Veneziani, poiché il cronista Dandolo espressamente scrive: Tribuni et omnes Proceres, et Plebei cum Patriarca, et Episcopi set cuncto Clero in Heraclia his diebus pariter concurrunt… et decreverunt unanimiter Ducem sibi praesse; con questo atto che non fu tumultuario, ma diretto dal Patriarca e dai Proceres (ed ogni distinto Veneziano per talenti ricchezza o servigi, anche non nobile, poteva essere fra i Proceres) l’intero popolo di tutte le isole esercitò il proprio diritto, adottando una concentrata forma di Governo, e mostrò che la Democrazia, comunque dall’arbitrio dei Tribuni fosse stata alterata, era la primitiva ed originaria forma di Governo.

Un tale Governo si era però quasi combinato eventualmente sulle tracce di quello de’ Municipj del continente. Non fu quindi instituito da regolare ordinamento; ma soltanto trasmesso; e perciò imperfetta quella Democrazia, ed improvida nel concedere al Doge potestatem in pubblicis causis generalem concionem advocandi, senza però determinarne le cause e le epoche costanti, nelle quali convocar si dovessero le concioni.

Continuò ad ogni modo il popolo ad usar della sua prerogativa nelle elezioni dei Dogi, come la esercitò sempre nelle concioni per le imprese di guerra, e per le istituzioni necessarie a tutelare il commercio e lo stato.

Ora per non eccedere i limiti di un giornale, esamineremo brevemente come la nazione senza regolare ordinamento, e spesso con atti violenti procedesse ad impedire l’arbitrio ducale; e come ne profittassero i più destri e i più interessati alla cosa pubblica di qualsiasi classe; onde correggere, e la popolare insolenza, e l’arbitrio dei Dogi, fino a che, tarpando sempre le ali a quella ed a questi, formossi l’Aristocrazia.

Ritorniamo intanto al V secolo per esaminare, come coi soli nobili del continente il Nob. Autore vorrebbe che si popolassero allora le nostre lagune; e forse se ne instituisce aristocratico il Governo. Oltrediché i Veneti cronisti ed istorici non hanno mai ciò preteso, che anzi affermano che i Vescovi v’abbiano condotte le rispettive intere popolazioni dalle propinque città.

Ove però coi soli nobili si volesse far venire tutti gli abitanti delle isole e lidi nostri, considerandole da prima deserte; ed essi soli formarvisi nazione, e per essa Governo; un tal Governo risultar vi doveva egualmente democratico, perché dalla universale di quei nobili, formanti soli la nazione si sarebbe composto. Che se non soli nobili ed ottimati aumentarono allora la popolazione delle lagune (il che in fatto avvenne) i venuti con essi vi recarono i proprj istituti; né spogliar si potevano dal partecipare insieme già tenuto assieme nelle abbandonate città, della elezione de’ proprj magistrati. Spogliarsene non potevano egualmente coloro, che accogliendo nelle loro isole i profughi loro concittadini, gli assocciarono alla propria sorte. Che se dopo tante dimostrazioni non anteriori abitanti si volessero in quelle isole ed esteriori lidi, e non altri fuorché nobili, ricchi, ed ottimati venirvi; questi, onde sussistere, saranno stati costretti a divenirvi pescatori, salinaruoli, ortolani, remiganti, marinaj, costruttori di case, di cantieri, di barche, di navi, poiché tuttociò vi sarebbe mancato, e dovendo a tutto provvedersi, fino all’acqua da bere, era indispensabile che quei nobili, non solo ad ogni arte e mestiere si applicassero, ma soprattutto alle saline alla pesca ed alla navigazione, col mezzo delle quali permutar potevano tanti altri oggetti delle loro necessità; siccome abbiamo veduto tutti impiegarvisi fino al tempo di Cassiodoro. Né coll’opera di pochi servi, che potessero seco avervi condotti, avrebbero potuto a tant’uopo soddisfare, tante arti di industria instituirvi, perfezionare ed estendere in pochi anni a massima prosperità; onde alla fine di quel secolo avervi, siccome numerosa ed ogni classe operosa la nazione, così pure le arti, le saline e le navi. Quindi assurda anche per queste considerazioni la opinione che soli nobili popolato avessero le nostre lagune ed istituita l’Aristocrazia.

Ma che la Democrazia, comunque siasi stabilita, col principiar della nazione avesse parte nell’Arrengo, e che in quello non soli nobili (come vorrebbe il Nob. Autore) si raccogliessero, oltre molti cenni di cronisti ce lo prova ad evidenza la concione convocata sul finire del duodecimo secolo per convenire delle navi da somministrare ai Crociati. In quella concione Ville Hardouin ministro e storico, numerò diecimila assistenti, che certamente non potevano tanti essere nobili; e molto meno 1. per esserne gran parte di essi estinta dalla recente peste, per cui il popolo disfatto si era del proprio Doge, che l’avea in Venezia introdotta; 2. e perché non più di quattrocento dieci famiglie nobili si contavano prima, alle quali ancorché si volessero concedere due o tre individui majorenni per ciascuna famiglia, non più di 1300 nobili si sarebbero in quella concion numerati.

Che se quell’assemblea di 10000 individui capir non potesse, come attentamente obbietta il Nob. Autore per ogni altra anteriore e popolare concione, entro l’augusto spazio della chiesa di Eraclea, di Malamocco, di S. Nicolò del Lido, di S. Marco, presso le quali si raccoglievano le concioni, quelle popolazioni si saranno riunite nelle piazze ad esse chiese adjacenti, come i Romani, sebben signori del mondo, nel foro, ad aperto cielo presso templi e basiliche tenevano i loro comizj.

Fu dunque la nazione che ebbe da prima la prerogativa popolare di eleggere per ogni isola i propri Tribuni; che concorse alla istituzione dell’Autorità ducale ed alle modificazioni di quella; che prese ognor parte nella successione de’ Dogi, che temperò gradatamente l’arbitrario potere ad essi incautamente conferito, e troppo spesso ne usò con violenza ed atrocità.

Fu la nazione, che, trucidato il terzo Doge, sostituì un annuo tribuno militare; che dopo cinque anni restituì i Dogi, diciannove de’ quali fece scendere dal trono colla morte, coll’esilio, ed alcuni dopo di averli privati degli occhi.

Soltanto dopo il 1171 ucciso, come abbiamo detto, il Doge Vital Michele II, i più influenti sulla nazione per desterità, ricchezza, illustre rinomanza ed impieghi profittarono delle comuni sciagure e dello sbalordimento del popolo per ottenere che si eleggesse un annuo Maggior Consiglio di 480, nel quale la maggior parte dell’autorità si concentrasse, e che con questo mezzo si venisse al termine di regolare l’arbitrio ducale, e si infrenasse la insolenza popolare; pure l’ingresso a quel Consiglio non venne determinato da alcuna prerogativa di nobiltà; ma solo da quelle del merito personale e dei servigj prestati alla Repubblica. Ciò non pertanto, coloro che facevano parte di quel Consiglio, acquistarono necessariamente credito ed importanza fino a che sul finire del 13 secolo lo chiusero perenemente in quegli individui, che ne’ quattro ultimi decorsi anni  erano stati membri dello stesso Consiglio; quindi appresso ne’ majorenni delle loro famiglie e di altre, che vi associarono, colle quali allora soltanto si formò la Veneta Aristocrazia.

Il nome però di Arrengo, e la possibilità di convocarlo, continuossi anche dopo la istituzione di un libro, che i nomi di tutti i Patrizj formanti il Maggior Consiglio comprendeva, e dopo ancora la istituzione del Consiglio dei X, che ogni cosa della Repubblica con supremo poter regolava; e ne’ suoi decreti quel Consiglio lo espresse fino all’anno 1335. Ma poiché si è qui di sopra mostrato che di soli Patrizj non poteva ormai più comporsi l’Arrengo, forza è il concludere, che a classi non patrizie, le quali per l’addietro facevano parte dell’Arrengo, quel nome dovesse alludere, quindi cittadini e plebei.

Comunque sia della nostra opinione riputiamo ad onore l’averla appoggiata alle profonde dottrine del Filiasi, all’esatto di lui criterio e retto giudizio, scevro da qualunque prevenzione di parte, e di averne formato il nostro Achille in questa discussione. E sebbene il Nob. Autore lo accusi di confusione e di cecità, noi ne abbiamo riconosciuto la chiarezza, la sana sua penetrazione, e riveritone le acute investigazioni nella tenebrìa di scurissimi tempi; e guidati dalla face che in lui accese luminosa il puro amore del vero, preferiamo di seguirla piuttosto che lasciarsi traviare dal fosco bagliore di luccicanti scintille.

Dopo ciò, abborrendo la Polemica, e credendo che abbastanza si sia scritto su questo ozioso argomento, ne lascieremo giudice l’imparzial lettore, né più oltre insisteremo in questa nojosa discussione, nella quale, nostro malgrado, ci ha involto da principio il desiderio di schiarire un dubbio, ed appresso non venendoci quello abbastanza dilucidato, ed anzi imputato a torto ed errore, il dovere di liberarci dalla taccia di vana provocazione.

Giacomo Parma

[fine]

Nella foto: Venezia, antica fotografia del ponte della Palanca.

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