DEL BUE, 1846, Dell’origine dell’araldica

Ho il piacere di inviare, qui scaricabile al link: DEL BUE, Dell’origine dell’araldica […], 1846  la riproduzione digitale del libro, diffuso in internet da Google: Dell’origine dell’araldica. Nobiltà, titoli, predicati d’onore, dignità e cariche di corte costituite nel Regno Lombardo-Veneto. Discorso del dottore in legge Giovanni Francesco Del Bue Nobile Patrizio cremonese e mantovano; libro stampato a Lodi, dalla tipografia di Claudio Wilmant e figli, nel lontano 1846.

Tale libro risulta particolarmente utile, in qualche modo persino necessario e – per i suoi approfondimenti inattesi – strumento prezioso, per quanti intendono approfondire, con precisione ma anche senza eccessivi tecnicismi, la questione del giusto senso da dare alle parole nobiliari e della loro evoluzione storica, con le annesse, diversificate rilevanze giuridiche.

Questione che è tutt’altro che secondaria per noi, che ci trovano ad avere a che fare con un’istituzione quale il Bailato e i Bàili, all’origine della nostra identità locale e storica. Del Bue non parla di baili, ma descrive il contesto generale in cui anch’essi operavano ed offre, per secondo, utilissime specificazioni riguardo a figure istituzionali, con ruoli paralleli se non assimilabili, com’è chiaro quando solo si abbia il buon senso di andare oltre la materialità dei termini utilizzati, i quali, del resto, già allora variavano di significato e d’uso, tra una vasta zona e l’altra, ad esempio tra la bassa Francia e la Savoja, la Lombardia storica e la Venezia (Veneto e Friuli attuali), e variavano pure tra un periodo storico e quelli successivi.

Confronto tra baili e visconti

È soprattutto il caso, per noi, del confronto tra la figura dei bàili e dei visconti. Si vede subito, leggendo, e pur limitandosi a questo confronto specifico, che ci sono evidenti analogie di ruolo, anche se nell’area bellunese il termine visconte non compare. E se ne intuiscono nondimeno, leggendo, le differenze, che sono: il visconte era un vicario in toto del conte, mentre in bailo lo era per un comitatum, ossia una parte del territorio, o per un incarico ad hoc. Nel Bellunese non risulta ci siano stati vicari generali stabili del conte paragonabili ai visconti, ma le mansioni del bailo erano identiche, con tutta probabilità, a quelle d’un visconte ad comitatum ossia, per quanto ci riguarda, ad Zaudum. Questa la mia inedita e originale conclusione, che mi sento di esporre al pubblico dei lettori e degli studiosi senza tema di smentite, invocando anzi auspicabili approfondimenti e giuste rettificazioni, che però – credo – non si discosteranno dal confermare l’analogia istituzionale riscontrata.

Mi risulta perciò come, prima che il Consiglio dei Nobili della città di Belluno si costituisse quale organo di governo distinto dalla figura del conte vescovo, cui restò il mero titolo di conte di Belluno (città e territorio, Zoldo compreso; titolo che non è mai stato abolito ma solo – dopo il concilio Vaticano II, 1962-1965 – non più adoperato dai vescovi aventi diritto, per cui, a voler essere precisi e formali sino in fondo il vescovo di Belluno è, ancor oggi, anche il nostro conte), il conte vescovo amministrasse il suo territorio in una maniera diversa da quella che ci è stata tramandata come unica; era inevitabile o, comunque, inevitabile o evitabile, così è stato.

Ma ora abbiamo qualche elemento o indizio concreto per ipotizzare e sostenere, in modo ragionevole, che quando i vescovi erano anche conti effettivi del Belluno (sarebbe da dire così, più che del Bellunese, poiché così appare da testi antichi, mentre ora Belluno è termine riservato solo alla città) non gestivano le vallate del Cordevole (Agordino) e del Maè (Zoldo) tramite capitani, come dopo, ma tramite loro emissari, probabilmente plenipotenziari, investiti di un incarico ad tempum o, se si preferisce, ad libitum dello stesso conte vescovo. Incarico facente capo ad un suo uomo di fiducia, che doveva essere laico (perché distinto dall’incaricato delle future plebs agordina e zoldana), militare (perché avrebbe dovuto amministrare, gestire e tutelare i diritti del castrum di cui si ha testimonianza sia per Agordo come per Zoldo) e giudice (nelle cause tra i districtuales, che, come noto, erano, e tali saranno riconosciuti tutti agli inizi del sec. XIII, homines liberi e non servi della gleba! Persone, quindi, che abitavano e lavoravano in Zoldo e nell’Agordino per scelta, non perché costrette o mandatevi per una penalità).

Chi erano i miles

Un secondo punto che, del libro Dell’origine dell’araldica, ci è particolarmente utile riguarda i miles, poiché ormai sappiamo che l’alta valle di Zoldo entrò, ai primi del secolo XIV, nella sfera d’interesse del miles Federico degli Azzoni. Del Bue è affascinato, come noi, da queste figure storiche, sulle quali finora sapevamo ben poco, pur essendo importanti; e anche questo vuoto conferma come la ricostruzione storica, che ci è stata presentata nell’infanzia e dopo, abbia delle notevoli carenze e distorsioni, che ci corre obbligo, per quanto possibile, di colmare e rettificare. Dei miles il Del Bue si occupa ex traverso, parlandone in nota o descrivendo altre figure allora istituzionali e nobiliari; ma quando lo fa, si lascia prendere dalla passione e lascia intendere che per lui il fascino dei miles è ben superiore a quello dei duchi, marchesi, baroni… Sembra dire, e in un punto esplicitamente dice, che è in essi che si concentra(va) la vera nobiltà, perché agivano disinteressatamente, in spirito di servizio, mossi dallo stimolo dell’onore e dal senso della virtù. Come non dargli ragione?

Altre osservazioni

Il libro di Del Bue non arriva alle concretizzazioni locali, ha ovviamente una prospettiva generale, pur abbastanza univoca e concentrata su Cremona e la Lombardia (con notevoli dimenticanze per altre aree, e persino qualche inesattezza) ma noi abbiamo tutto il diritto, e come studiosi il dovere, di farle.

Dal punto di vista linguistico, il modo di esprimersi dell’autore è quel che è: sciolto sì, a volte persino accattivante, ma involuto, ottocentesco, con un rispetto molto discutibile del procedimento logico «soggetto, verbo, complemento»; quante volte il lettore si vedrà costretto a rileggere ciò che ha appena scorso, solo per capirne il senso! Di fronte a certe acrobazie d’esposizione, gli converrà fare tra sé e sé un sorriso, anziché arrabbiarsi; rileggere e andare avanti e, in fine, troverà che quelle pause obbligate gli saranno state dei momenti utili, forse, per cogliere meglio, oltreché il senso specifico di una frase, un’idea, la quale diversamente gli sarebbe sfuggita.

Invito caldamente il lettore a ricordare, sempre, che il però non equivale al nostro avversativo, ma al nostro consecutivo perciò. Questo era il senso d’allora e dei secoli precedenti e noi dobbiamo averlo ben presente!

Infine, ho deciso per la trascrizione dell’intero libro e, in essa, che verrà offerta in una serie di articoli, il materiale sarà più facilmente leggibile che nel testo a stampa dell’originale e, per chi vorrà farlo, sarà ulteriormente divulgabile. Con il vantaggio che, nella trascrizione, sono state fatte le correzioni e inserite le aggiunte indicate dal Del Bue alla fine del suo testo. E, sia pur in maniera minima, sono stati fatti alcuni ritocchi alla punteggiatura (aggiunta di virgole) e posti alcuni accenti, per rendere meno ostica la lettura di parole per noi incredibili, di alcune delle quali m’è sembrato persino utile dare una traduzione in italiano corrente, in apposite note, indicate dal N.d.R. iniziale in neretto.

Questi i capitoli del libro: 

I. Origine degli Araldi o Re d’armi, onde nata la scienza araldica, e da quali cause sorsero i Tribunali Araldici.

II. Della nobiltà, e sue distinzioni.

III. Modi generali d’acquistare la nobiltà, e prove della nobiltà generosa, secondo l’Editto Araldico, 27 aprile, 1771.

IV. De’ predicati d’onore, e loro significato.

V. Delle prove di nobiltà.

VI. Delle lettere patenti di ripristinazione.

VII. De’ titoli di nobiltà in generale, e loro significato.

VIII. Del Blasone.

IX. Dei privilegi e distinzioni dei nobili.

X. Delle dignità e cariche stabilite per l’I. R. Corte di Milano. 

Questa la presentazione che l’autore fa «Al lettore»:

L’araldica, scienza amena e di non lieve utilità alla storia, ha più d’ogni altra scienza una lunga serie di vocaboli proprj, senza la cognizione de’ quali egli sarebbe impossibile penetrarla. I dotti in genere la dividono in due parti; la prima riguarda i predicati d’onore, i titoli di nobiltà, gli attributi di ciascuno di questi, secondo le nazioni e le loro costumanze; come pure si estende ai privilegj ed alle prerogative che valgono a distinguere i varj gradi di nobiltà. La seconda tratta delle armi, [1] o sia del blasone.

Questa scienza viene ad essere sommamente sussidiata dalla Paleografia o Critica diplomatica, che insegna a leggere ed interpretare le carte [2] di tempi antichissimi, ai quali ripòrtansi i diplomi di nobiltà ed i privilegi a cui vogliono ascendere molte famiglie. Il cavaliere Pietro Datta pubblicò un trattato eccellente di Paleografia; in Torino l’anno 1834, ed in Milano nel 1843 s’aperse un corso d’istruzioni diplomatico-paleografiche presso l’I. R. Archivio Diplomatico, soggetto all’I. R. Direzione degli Archivi stabilito nell’Archivio Notarile, il quale è per riescire di somma utilità a coloro che in questa parte di scienza volessero avanzare. [3]

Raccolsi qua e là da vari autori, come le giornaliere mie fatiche me lo permisero, alcune notizie sui titoli onorifici, e volli esporle con ordine in modo di farne un piccolo trattato, che avesse a tornar non discaro [4] almeno al ceto più elevato, cui principalmente riguarda.

E poiché siffatto argomento ne chiama a disotterrare e quasi a richiamare in vita i più illustri trapassati, [5] a gettare una bella luce sugli alberi genealogici, sugli stemmi gentilizj e sulle antichissime pergamene, d’onde emergono i titoli e le prerogative che nei tempi più oscuri compartìvansi [6] ad uomini e famiglie ch’avéansi meritato d’essere distinti nella società, non sémbrami però fuor di proposito di premettere alcuni cenni sui titoli d’onore in genere.

Queste brevi parole ho creduto premettere; del resto accolga il Lettore con indulgenza un lavoro dal quale né fama spero, né utile, contento solo s’avrò potuto nobilmente occuparlo in qualche ora di noja.

[1. Continua]

NOTE

[1] N.d.R. Per armi (al maschile) o arme (al femminile) l’Autore intende le distinzioni araldiche, ovvero quei simboli che popolarmente si indicano con la riduttiva parola di stemma.

[2] N.d.R. Per carte l’Autore intende, come fa il discorrere popolare, i documenti in genere, i quali, poi, potevano essere tanto in carta vera e propria quanto di pergamena o carta pergamena, che nomina poco più avanti.

[3] N.d.R. Come si vedrà spesso, alla lettura del testo, l’Autore si offre continue occasioni per fare qualche elogio od ossequio alle autorità politiche del momento, gli occupanti austriaci, per lui rappresentanti il non plus ultra.

[4] N.d.R. Sgradito.

[5] N.d.R. Antenati.

[6] N.d.R. Si distribuivano.

PARTI di cui questi sono i link: [cliccare la parte in azzurro col tasto “Apri link in un’altra scheda” e poi sull’immaginetta che compare, tipo quadratino, e si scarica il testo in word, che può essere letto e salvato a parte]

Parte 01 = Introduzione generale.

Parte 02 = Origine degli araldi o re d’armi […].

Parte 03 = Della nobiltà e sue distinzioni. 

Parte 04 = Modi d’acquistare la nobiltà.

Parte 05 = I predicati d’onore: I: Signore – Don e Donna – Messer, Sere e Madonna.

Parte 06 = I predicati d’onore: II: Egregio.

Parte 07 = I predicati d’onore: III: Magnifico o Molto Magnifico.

Parte 08 = I predicati d’onore: IV: Spettabile – Illustre, Per Illustre o Molto Illustre – Illustrissimo.

Parte 09 = I predicati d’onore: V: Clarissimo – Eccellenza – Nobile (Gentiluomo o Cavaliere) – Nobil Uomo – Nobile Patrizio.

Parte 10 =  Le prove di nobiltà: I: Cariche speciali – Padronati – Consistente ricchezza – Palazzi antichi.

Parte 11 =  Le prove di nobiltà: II: Tornei – Decurionato.

Parte 12 = Le prove di nobiltà: III: Feudi cospicui – Cognome.

Parte 13 = Le lettere patenti di ripristinazione della nobiltà.

Parte 14 = Titoli nobiliari: I: Duca – Principe – Marchese.

Parte 15 = Titoli nobiliari: II: Margravio – Langravio – Burgravio – Conte Palatino – Conte – Visconte.

Parte 16 = Titoli nobiliari: III: Barone – Barone libero – Cavaliere.

Parte 17 = Il Blasone. 

Parte 18 = Privilegi e distinzioni dei nobili.

Parte 19 = Norme per la Corte in Milano del regno Lombardo-Veneto.

Parte 20 = Autori e libri citati.

***