DON FLORIANO, Fotografie dell’antica casa Pellegrini di Cella e de «Le Celle»

1) Visione d’insieme, da sotto. Si distingue bene, a sinistra, la parte de «Le Celle», il corpo aggiunto a destra e il corpo principale costruito successivamente sopra «Le Celle».

[Articolo diffuso come comunicato stampa del Baliato dai Coi il giovedì 2 febbraio 2017]

Il 28 gennaio u.s., a merito e per interessamento della proprietaria, Signora Adriana Pellegrini, quali membri dei vari rami Pellegrini (originariamente De Pellegrin) della Val di Zoldo ci siamo incontrati presso l’antica casa Pellegrini di Cella, nelle vicinanze di Pieve di Zoldo. Erano presenti pure il geom. Pietro Costantin, di Fornesighe, buon conoscitore dell’edilizia locale, e altre persone interessate. Si trattava di dare una valutazione confidenziale sulle condizioni statiche del fabbricato, risalente in linea generale al Settecento, ma con varie ristrutturazioni successive, anche di epoca recente.

Ma, prima ancora, era in noi vivo l’interesse di visionare e considerare l’opportunità o meno della salvaguardia o, meglio, del recupero, del piano terra di tale casa; pianoterra che costituisce, all’evidenza, un corpo di fabbrica a sé stante e assai più antico del resto dell’edificio. La tradizione orale lo fa risalire al secolo XIII; ora, se questo sia vero o no, potranno dirlo solo degli architetti con specifica competenza storica; ma, qualora fosse un fatto confermato, ci troveremmo di fronte ad una delle più antiche, se non alla più antica abitazione di Zoldo! Orbene: già l’avere questo dubbio suggerisce di trattare il fabbricato, in attesa di risposta, con un’attenzione speciale e di mettere in atto tutte le salvaguardie legali che permettano alla comunità di non perdere, per colpevole incuria, una preziosa e – se persa – insostituibile testimonianza della sua storia, quasi miracolosamente giunta, pur incompleta e in cattive condizioni (ma fino ad un certo punto e pur sempre di notevole interesse, almeno storico) sino a noi.

Sempre la tradizione orale, non supportata però da documenti, asserisce, incontrastata, che in antico, ossia nel secolo XIII, quel fabbricato era abitato da monaci di un non precisato ordine eremitico. In teoria, la cosa potrebbe essere possibile; sappiamo, ad esempio, che monaci erano presenti in varie località delle Dolomiti, ad esempio al passo di San Pellegrino, tra Falcade e Moena, al noto romitorio nei pressi di Domegge di Cadore e sulla montagna sopra Polpet di Ponte nelle Alpi, gestori della chiesetta di Sant’Andrea apostolo. I monaci zoldani di Cella avrebbero abitato quell’antico fabbricato, di cui restano lo spazio cucina, l’ingresso annesso e due celle, facilmente scambiabili per cantine, che sono ancora in quasi perfetto stato di conservazione, per quanto effettivamente utilizzate successivamente quali cantine. Da qui il nome di «Le Celle» attribuito complessivamente all’affascinante e, sia permesso dirlo, per certi versi misteriosa realtà dell’antica casa Pellegrini di Cella; casa che, comunque, i Pellegrini vennero ad abitare solo in un secondo momento, ben più tardo, trasferendosi da Dozza, dove sino al sec. XIX esisteva solo la casa dei Pellegrini continuati ad abitare lì.

Da un’antica pergamena della parrocchia di Pieve di Zoldo sappiamo che l’area di Cella, Sottorogno, forse Calchera, di certo Casal, Dozza (appena nominato) e Fedele (lungo la strada che da Dozza porta a Bragarezza), ossia tutta l’area che circondava la proprietà della chiesa di San Floriano di Pieve, rientrava, per un verso o per l’altro (non è stato ancora definito il come, per ora si è scoperto solo il fatto in sé), nell’area del maso di Levazono. E da una pergamena dell’Archivio storico del Comune di Belluno sappiamo che tale maso era collegato direttamente con alcune famiglie nobili di Belluno, ossia famiglie di ministeriali e militari del vescovo conte. E, altro documento alla mano, sappiamo che gli stessi Pellegrini di Coi (con i loro consorti de Zanet) venivano (venivamo) da tale maso, nella seconda metà del secolo XIV (prima attestazione nel 1366). E a Coi c’è una croce templare, e qualche altro segno templare, in ciò che resta della cappellina originaria, forse della seconda metà del secolo XV o di non molto dopo.

Se vogliamo perciò dar spazio alla fantasia, sia pure con qualche fondamento che un domani (verificato) potrebbe farla apparire ipotesi reale anziché fantasia, potremmo pensare, per «Le Celle», a dei Templari? Infatti, sebbene lo di dimentichi troppo, essi erano sì cavalieri ma anche e prima di tutto monaci, in quanto cavalieri consacrati e vincolati ai doveri della preghiera e del celibato, come gli altri monaci, anche se, in più e di specifico, essi avevano (s’erano assunti) l’obbligo della difesa armata delle chiese, dei poveri e dei pellegrini diretti alle chiese e, nella migliore delle ipotesi, alla Terra Santa. E sappiamo pure che i monaci cavalieri Templari procedevano sempre a due a due; ebbene: guarda caso, il Baliato dai Coi venne fondato da due masi, cioè da due capifamiglia forse scudieri, e a Cella abbiamo due celle o stanze per il riposo e il ritiro di due persone che la tradizione ricorda monaci; stanze o celle (il termine rientra nella terminologia monastica) convergenti su uno spazio comune, adibito a cucina, con un grande focolare all’angolo sud-est, anziché al centro della stanza o almeno di una sua parete, come si sarebbe fatto dopo e in qualche modo si fa ancora.

Il geom. Costantin ha osservato e ci ha fatto notare che il fabbricato delle Celle è attraversato sul soffitto da una lunga e robusta trave, che va da un lato all’altro (da est a ovest); che la struttura è impostato, insomma, su pianta quadrata e questo, ci spiegava, è un segno chiaro dell’antichità e medievalità della stessa. Il resto della casa, infatti, s’è poi sviluppato sopra tale fondamento a quadro, sicché dà ancora una specie d’idea di torre e, comunque, ha una verticalità ben superiore, rispetto alla larghezza, di quella delle altre case antiche di Zoldo. A titolo di semplicissima curiosità, aggiungo che il nostro segno di casa, quali Pellegrini di Coi, è… il quadrato!  

Per il momento preferisco non dir altro, per non rischiare di dire cose su cui non sono competente. Durante la visita, ho scattato alcune fotografie e, in vero, non proprio delle parti della casa più interessanti e significative, ma «un po’ a caso», per il gusto di avere un ricordo della giornata. Per quanto con questo limite, ora le invio, ed esse mostreranno di che fabbricato stiamo parlando.

Confido vivamente nella sensibilità del Comune, affinché assieme, non appena possibile, si possa fare una giusta e doverosa opera di valorizzazione del manufatto; che, comunque, già ora, merita e richiede, da parte sua, un intervento urgente di tutela legale. Mandi!

don Floriano Pellegrini

***

2-4) L’affresco di facciata, dedicato alla Madonna del Carmine, con alla destra San Pellegrino delle Alpi (rovinato) e a sinistra Sant’Antonio di Padova; la data è: 1783.
5-7) Particolari della facciata: Una feritoia de «Le Celle»; il punto in cui è stata murata una porta, con caduta evidente di sassi di riempimento; il punto in cui, oltre una catasta di legna, inizia l’aggiunta a destra.
8) L’entrata laterale a «Le Celle», che restano a destra, scendendo, mentre a sinistra vi è una parete d’assi di legno, di semplicissima separazione dalla zona cucina, priva di canna fumaria.
9-12) Arcata e soffitti carichi di fumo della zona cucina; il punto con la bocca di carico di un fornél, che testimonia come ci fosse quantomeno un’altra stanza in facciata; il punto della porta chiusa (si fa per dire); altra porta d’ingresso alla zona cucina (si osservi la rusticissima gradinata interna).
13-14) Interno di una delle due celle ritenute dormitorio dei due monaci; particolare del muro delle celle, che mostra come in questo punto la conservazione delle malte sia ottima.
15) Sulla parete divisoria compaiono alcuni segni, come questi, forse senza significato, forse con qualche significato.
16-17) Altra piccola gradinata esterna e altro pietrone, ora rimasto a terra, ma che, evidentemente, faceva parte dell’antica struttura della casa.

***