DON FLORIANO, La pila dell’olio per la benedizione delle madri ai figli

Si sta avvicinando l’8 dicembre, data della festa solenne, o solennità, dell’Immacolata. Per quel giorno, dopo generazioni e generazioni, ossia oltre due secoli, è previsto il recupero di un atto di Fede antichissimo, che è stato lì lì per essere completamente dimenticato.

Da quando è stato dato l’annuncio, ripetuto, di questo recupero, in paese, sia come locali che come ospiti, c’è sviluppato un crescente interesse per l’ iniziativa; si potrebbe parlare persino di entusiasmo.

Tutto è iniziato quasi vent’anni fa, quando, da prima sporadicamente e poi in modo sistematico, ho cominciato a chiedermi a cosa servisse la pila allora collocata nell’atrio del campanile e usata come pattumiera.

La prima e più ovvia risposta è che si fosse trattato, in precedenza, d’una di quelle pile per la conservazione del burro cotto di cui si hanno altri esempi in val di Zoldo e nelle altre valli dolomitiche (e forse alpine in genere), per quanto in Zoldo non siano poi tanto numerose. Esse, anzi, sono relativamente rare (almeno quelle antiche, autentiche), poiché – essendo in pietra locale e non in tufo – sono di difficile lavorazione e quindi oggetto simbolo già di un qualche benessere. Che io sappia, a Coi ne abbiamo solo una, forse mai usata, proveniente dalla nostra casa antica (dei Pellegrini Beretìn), posta sotto la piazzetta e l’osteria, che per un po’ di tempo era rimasta (poi da essi restituita) a disposizione dei Pellegrini Vésco. È probabile mi fermassi a quell’ipotesi, non avendo elementi per farne altre.

Poi, un giorno, su un libro di storia del paese e della chiesa antica di La Valle Agordina, confinante con Zoldo tramite il passo Duran, ho visto che, di quella chiesa antica, era conservata una pila pressoché identica (o quasi) alla nostra e di essa si diceva ch’era la pila per l’olio delle lampade. «Molto interessante!», mi dissi. Certo, oltre che per eventuali lampade pensili o quella del Santissimo, che a Coi non potevamo avere in quanto chiesa normalmente non autorizzata a conservare nel tabernacolo il Santissimo ossia l’Eucaristia, l’olio sarà servito anche per le lucerne accese durante le S. Messe ed il canto dei Vesperi. E ciò almeno per il periodo anteriore all’ampliamento della chiesa (fine 1500) e al posizionamento dell’altare opera dello scultore bellunese Jacopo Costantini (1618).

La pila cominciava ad acquistare un valore storico preciso, che rendeva necessario interrompere, una volta per tutte, il suo uso quale pattumiera e il trasferirla in uno spazio più adeguato. E si decise, almeno per il momento, di collocarla all’interno della vecchia cappella gentilizia del Baliato.

In questi anni essa è stata vista, e spesso fotografata, dai visitatori della chiesa, massime nel periodo estivo. E tutti hanno sempre chiesto informazioni, scambiandola alcuni per un battistero, altri attribuendole qualche altra funzione. Sembrava, però, che non si sarebbe andati oltre la scoperta del suo uso quale contenitore dell’olio delle lampade. Ma la Provvidenza ci è venuta incontro ed ha voluto farci riprendere consapevolezza del bene prezioso che avevamo ricevuto, ignari, dai nostri antenati.

È stato così che, un giorno, una persona anziana di Coi mi ha raccontato una storia antica e commovente:

– Un tempo o, meglio, almeno finché c’era la Serenissima [e quindi verso la fine del Settecento], quando i giovani e giovanissimi di Coi, di Col e di qualche altro paese partivano da Zoldo per andare a lavorare a Venezia, al momento di congedarsi da casa, chiedevano e ricevevano la benedizione delle loro madri. Le madri facevano loro un segno di croce sulla fronte, per solito con il dito pollice [chissà perché!] intinto nell’olio benedetto.

«Ma quale olio benedetto?», chiesi io,«non ne ho mai sentito parlare, eppure sono prete da tanti anni».

– L’olio era tenuto con grande cura, perché alimento costoso. Quello che avanzava alle lucerne o alle lampade poste sull’altare non veniva buttato via. Per il semplice fatto ch’era stato sull’altare, la gente lo credeva automaticamente benedetto e se ne faceva consegnare un po’, lo portava a casa, e lo usava come l’acqua santa, quale integrazione della preghiera. Soprattutto veniva usato, come dicevo, dalle madri che benedivano i figli che si mettevano in viaggio. Andare a Venezia non era un viaggio da poco e i figli potevano essere giovanissimi, poco più che adolescenti. Forse figli e madri non si sarebbero mai più visti e le madri, con quel gesto di benedizione, li affidavano a Dio.

«Interessante», dicevo e pensavo, intanto, tra me e me.

– Una volta un giovane, che era in lite con la madre, partì da Coi senza ricevere la sua benedizione. Ma quando fu dalle parti del Fadalto non se la sentì di andare avanti e fece a piedi la strada del ritorno a casa, a Coi, dalla madre. Le domandò di essere da lei benedetto e solo allora riprese il lungo e pericoloso viaggio del Canale e giù fino a Venezia.

Io ero commosso a sentire questa storia. Con la fantasia ricostruivo la scena e immaginavo quel povero ragazzo che, con in mano o sulle spalle poco più d’un fagotto, ripeteva a ritroso gli oltre trenta ponti, fragili e in legno, che allora andavano da una parte all’altra del torrente Maè, solo – diciamo noi – per ricevere la benedizione della madre. E quale non sarà stata la gioia e la commozione di quella madre nel rivedere il suo figlio, tornato a lei per quella benedizione!

Questo racconto mi aveva profondamente impressionato e, una volta appreso, non l’ho più dimenticato; esso è stato per me un grande insegnamento, di amore filiale e di Fede; entrambe le cose. Nello stesso tempo, mi sentivo in dovere, anzi stimolato ancor più di approfondire la questione. E le ricerche hanno avuto buon esito.

Ho consultato il Manuale selectissimarum Benedictionum [ecc.] stampato nel lontano 1737, lo stesso testo consultato e usato quest’anno, il 31 luglio, per la benedizione dei cavalli. Questo testo, di area tirolese e precedente agli stravolgimenti della Rivoluzione francese, è l’ultima raccolta a stampa di benedizioni fatta in maniera fedele alle medievali; costituisce perciò un riferimento liturgico sicuro per ciò che avveniva anche a Coi prima della caduta della Serenissima. Ebbene, da questo manuale ho avuto qualche idea in più sul rito della benedizione dell’olio.

Gli stessi visitatori della chiesa e della pila hanno portato altri contributi alla comprensione del manufatto e del rito. C’è chi, più d’uno, ha raccontato che in alcune località del centro e sud Italia esiste ancora la prassi della distribuzione dell’olio benedetto e me ne è stata mostrata una fialetta (del tipo di quelle per liquore usate un tempo nella preparazione domestica delle torte). Un visitatore ha raccontato che la prassi è ancora in uso in alcuni posti del Vicentino. Una visitatrice ci ha raccontato dettagliatamente di come la benedizione dei genitori ai figli, facendo il segno di croce sulla fronte con l’olio benedetto, sia assai frequente anche in Baviera, ad esempio per il capodanno o quando i figli iniziano l’anno scolastico, a Natale e a Pasqua prima del pranzo, ecc.

Questa benedizione, insomma, che nel Baliato e in Zoldo, e credo nell’intera provincia di Belluno, avevamo del tutto dimenticato, era ben presente altrove!

Da un punto di vista materiale, mi è stata molto utile l’osservazione fatta da una visitatrice di Conegliano (se ricordo bene). Essa mi ha spiegato che l’olio non veniva messo direttamente nella pila, come avevo immaginato che fosse, ma in un secchiello (probabilmente in rame) posto all’interno della pila. Tale secchiello era stato, evidentemente, utilizzato per altri scopi, da qualche stagnino o venduto ai raccoglitori di ferrivecchi. La signora si è offerta a far fare il nuovo secchiello.

In un successivo articolo spiegherò qualcos’altro.

Don Floriano Pellegrini

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