DON FLORIANO, L’arcidiacono del Cadore ha il diritto, ipso iure, di essere vicario foraneo del Cadore (eccettuato il Comèlico)

Da alcuni, troppi mesi il vescovo di Belluno-Feltre, mons. Renato Marangoni, è in un imbarazzante conflitto aperto con la Magnifica Comunità di Cadore. Non si sarebbe mai immaginato, solo pochi anni fa, che un giorno potesse succedere un contrasto simile e, invece, sta succedendo.

La spiegazione del perché sia avvenuto è, alla fin fine, semplice, anzi talmente elementare da sembrare banale e irrispettosa. Ed è questa: i vescovi delle ultime generazioni hanno tante idee per la testa (tra l’altro non sempre accettabili, in quanto spesso viziate dall’eresia di modernismo, infiltratasi nei seminari dopo il concilio Vaticano II, per quanto fosse stata fermamente condannata da San Pio X) ma hanno poca conoscenza della identità umana e storica delle parrocchie e delle comunità civiche alle quali, secondo alcuni per fortuna e promozione e secondo altri per disgrazia e punizione, vengono assegnati. Una simile difficoltà c’è sempre stata nella storia della Chiesa e venne superata in diverse maniere, la più diffusa delle quali è la scelta, da parte del neo-vescovo, di un buon vicario generale. Il vicario generale, infatti, è sacerdote del clero locale e perciò, se onesto e disinteressato, in grado di aiutare e consigliare in bene il vescovo. Certo, anche il vescovo pro tempore deve avere il buon senso di ascoltare e consultare il suo vicario e i preti tutti, e di farlo non sporadicamente (quasi per facciata), ma regolarmente; in altre parole ha il dovere e tutto l’interesse di lasciarsi aiutare. Altrimenti succede quello che sta succedendo nel campo politico, dove ministri improvvisati si trovano a decidere su questioni di cui sono palesemente ignoranti e, se pur ben foraggiati, non si fanno scrupolo di formare l’infelice e giullaresca compagine ministeriale dell’attuale Governo della Repubblica Italiana, che già di suo fa acque da tutte le parti.

Ma torniamo al caso nostro. Animato da buone intenzioni – non mi permetterei di dubitarlo, anzi ne sono convinto e gli do atto della positività dell’intento – il vescovo Renato Marangoni, alla guida della diocesi di Belluno-Feltre da appena due anni e mezzo (allora), il 12 settembre 2018 ha messo in atto ad experimentum una suddivisione della diocesi in sei aree, denominate Convergenze foraniali, al fine di «determinare una configurazione pastorale più stabile del nostro territorio diocesano» (lettera prot. n. 118/18).  Più che di suddivisione si tratta, però, di unificazioni operative dei vicariati foranei esistenti. Il risultato è – ahimè – quello, pieno di assurdità, che a tutt’oggi si ha il poco piacere di vedere al link ufficiale della diocesi: http://www.chiesabellunofeltre.it/foranie-e-parrocchie/ . Nessuno nega che il vescovo avesse, de iure, il pieno potere di farlo, fatti salvi però, evidentemente, eventuali diritti di terzi. Ed è qui che è cascato l’asino, come si suol dire e senza, dicendo ciò, voler mancargli di rispetto. Come mai nessun vicario generale o altra persona si è sentita in dovere di fargli presente il caso particolare dell’arcidiacono del Cadore?

Si tratta di questo: l’arcidiaconato del Cadore (o: di Cadore) era fino al 1846, quando venne unito all’allora diocesi di Belluno, una porzione rilevante dell’arcidiocesi di Udine e, prima della costituzione di quest’ultima, del patriarcato principesco di Aquileia (o Aquileja). Il 23 marzo 2020 ho pubblicato al link: http://dallacasatadilevazono.altervista.org/anonimo-post-1805-memoria-istorica-compilata-dellarcidiaconato-del-cadore/ una sua storia che, inedita, avevo pubblicato già nel 2011. Il 17 maggio, poi, ho pubblicato la storia dell’arcidiaconato della Carnia, quale pubblicata su «Pagine Friulane» del 1897. Sono i due arcidiaconati montani del Patriarcato, gloria del Patriarcato stesso, poiché all’arcidiacono erano riconosciute forme di autonomia giurisdizionale canonica che, certamente, hanno contribuito al costituirsi pure dell’autonomia civica delle due Magnifiche Comunità di Cadore e di Carnia. Il patriarca non aveva una concezione centralista del potere del suo principato, ma rispettava e, anzi, incentivava le identità e amministrazioni locali. Mi rattrista non poter raccontare qui di più, per esigenze di sinteticità, della gloriosa storia dei due arcidiaconati; ma per essa invio agli articoli e link indicati.

Con l’entrata, per volontà di papa Gregorio XVI (intenzionato ad assecondare una richiesta dell’imperatore d’Austria), nell’ambito della piccola diocesi di Belluno, l’arcidiaconato cadorino si trovò a dover affrontare una qualche problematica nuova, poiché Belluno non conosceva la giurisdizione degli arcidiaconi (il titolo di arcidiacono di Agordo – non dell’Agordino – è di semplice onore, senza giurisdizione territoriale; altri arcidiaconi in diocesi, per quanto in passato ce ne fossero stati, ad es. quello dell’Alpago, non esistono più, neppure come semplice titolo onorifico). Forse il vescovo Marangoni ha immaginato, perciò, che di mera onorificenza si trattasse anche nel caso del Cadore; la valutazione veniva naturale, pur tuttavia non è giusta poiché si tratta, invece, di una carica ecclesiastica specifica, sui iuris, in tutto valida e in vigore.

In breve: fino al 1934 l’arcidiacono del Cadore era, ipso iure, anche vicario foraneo dell’intero Cadore (eccettuata la curazia poi parrocchia di Zoppè di Cadore, facente parte da sempre del vicariato foraneo di Zoldo; ed eccettuate forse – dovrei verificarlo – la parrocchia di Selva di Cadore e la curazia di Pescul di Cadore, entrambe in comune di Selva di Cadore, forse rientranti nell’allora vicariato foraneo dell’Alto Cordevole). La sua autorevolezza morale e giuridica era altissima, senza la minima ombra di contestazione. Io stesso ho potuto constatare, nei dodici anni in cui fui in Cadore, come l’arcidiacono (in particolare mons. Guglielmo Sagui, ma anche mons. Renzo Marinello) godessero di un’autorevolezza indiscutibile e potrei raccontare, al riguardo, molti aneddoti, significativi e piacevoli. Neppure i vescovi godevano dell’autorevolezza dell’arcidiacono e ne dovevano tener conto, tant’è che il vescovo Maffeo Ducoli, pur benemerito del Cadore per essere riuscito (con i suoi intrallazzi) a portarvi il papa Giovanni Paolo II, in qualche misura venne squalificato dai Cadorini quando fu scortese con mons. Sagui; e quest’ombra sulla sua fama non se la toglierà mai più.

Con decreto 31 dicembre 1934, n. 909, del vescovo Giosuè Cattarossi (su sollecitazione e per saggezza pastorale del vicario generale di allora, mons. Pietro Rizzardini, mio paesano di Coi di Zoldo) venne istituito il vicariato foraneo del Comèlico, staccando quelle parrocchie NON dall’arcidiaconato di Cadore ma solo dalla sua giurisdizione quale vicario foraneo. All’arcidiacono rimase però il primato d’onore sullo stesso vicario e vicariato foraneo, come specificato con decreto vescovile, dello stesso Cattarossi, in data 1° maggio 1937, n. 393.

Dopo il 1937, seguirono ulteriori contatti tra la Magnifica Comunità di Cadore e il vescovo Cattarossi, ben sapendo, entrambe le parti, che «patti chiari danno amicizia lunga». Così, in una lettera del 24 gennaio 1941 al Consiglio della Magnifica Comunità di Cadore, il Cattarossi rassicurava l’ente cadorino dichiarando: «L’Arcidiacono del Cadore dev’essere sempre il Pievano di Pieve, perché è conveniente che abbia a risiedere nel centro della regione, per esercitare le sue funzioni di Vicario Foraneo ed abbia per cura pastorale la Pieve più antica del Cadore».

Si giunse infine a completi accordi e la Magnifica Comunità di Cadore, quale ente di diritto pubblico rappresentante gli interessi di tutti i Comuni del Cadore (quindi anche di Selva e Zoppè), sottoponeva i medesimi accordi alla prefettura di Belluno per l’approvazione da parte del Ministero dell’Interno del Regno d’Italia. Il vescovo di Belluno chiedeva e otteneva la medesima ratifica da parte della Santa Sede. Dopo di che, in data 16 agosto 1941, il vescovo di Belluno emanava il decreto n. 604, che regolava e ancora regola giuridicamente la figura giuridica, le competenze, le facoltà e gli obblighi dell’arcidiacono del Cadore. Questo il testo di tale decreto:

GIOSUE’ CATTAROSSI

Per grazia di Dio e della Santa Sede

VESCOVO E CONTE DI FELTRE E BELLUNO

DECRETO

N. 604 di prot.

Vista la copia della deliberazione Consigliare N° 7 della Magnifica Comunità Cadorina in data 16 febbraio 1941, resa esecutiva in seguito al nulla osta del Ministero dell’Interno dall’Ecce1lenza il Prefetto di Belluno addì 8 maggio 1941 N° 5067 Div. II^, con la quale essa Comunità rinuncia sotto alcune condizioni al diritto di patronato nella nomina dell’Arcidiacono del Cadore;

Chiesto ed ottenuto il beneplacito della Santa Sede, come da venerate Lettere dell’Eminenza il Signor Cardinale Segretario di Stato di S.S. Pp. Pio XII N° 38063 del 2 maggio corrente

ACCETTIAMO

Col presente Nostro decreto la rinuncia come sopra fatta dalla Magnifica Comunità Cadorina al diritto di elezione e presentazione dell’Arcidiacono del Cadore, ed accogliamo e stabiliamo in merito le seguenti condizioni:

1- La nomina dell’Arcidiacono del Cadore sarà fatta in avvenire liberamente ed esclusivamente dall’Ordinario diocesano;

2- L’Ordinario diocesano si obbliga: -a) nominare Arcidiacono un Sacerdote di nascita Cadorina; e -b) nella persona del Pievano di Pieve; -c) a comunicare il nome dell’eletto alla Magnifica Comunità, e presentarlo al momento opportuno ufficialmente nella sede alla Rappresentanza dell’Ente;

3- Nessun pregiudizio deriverà per quanto sopra all’istituto dell’Arcidiaconato, il quale conserverà le tradizionali forma, prerogative e dignità rappresentativa: soltanto rimarranno in vigore i Nostri decreti 31 dicembre 1934 N° 909 sub 2° e 1° maggio 1937 N° 393.

Questo Nostro decreto sarà eretto in triplice esemplare per essere conservato negli archivi della Magnifica Comunità Cadorina, dell’Arcidiaconato del Cadore e della Curia di Belluno. Con che ecc.

Dato a Belluno nella Nostra Curia Vescovile, addì 16 agosto 1941.

+Giosuè Cattarossi

[firma del cancelliere vescovile]

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I vescovi di Belluno hanno sempre riconosciuto, perciò – parole testuali di mons. Cattarossi – «l’istituto dell’Arcidiacono [del Cadore]» e l’hanno riconosciuto dotato di secolari ovvero «tradizionali forma, prerogative e dignità rappresentativa», tra le quali (intrinseche, come si evince dal sue) «le sue funzioni di Vicario Foraneo», come sempre stato.

Ora, poiché il decreto vescovile 16 agosto 1941, n. 604, che rende attuativo un accordo tra Diocesi e Magnifica Comunità di Cadore, approvato dal Ministero dell’Interno dell’allora Regno d’Italia come pure dalla Segreteria di Stato vaticana, non risulta essere mai stato abrogato e nemmeno parzialmente modificato, è evidente ch’esso è in pieno vigore e costituisce elemento di diritto positivo particolare a’ sensi dell’art. 553 § 2 del vigente (dal 1983) Codice di diritto canonico (C.J.C.) [cfr.: http://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/cic_index_it.html ].

Ricordo volentieri tutto questo, per la passione della storia locale, ma soprattutto come sacerdote e nativo di queste Terre. Mi piace poter fare da pacificatore e credo che questo piccolo, ma cordiale e preciso contributo possa giovare a tanto. Che il malinteso e il malumore vengano superati, è nell’interesse di tutti. Alla fin fine quello che giova è aiutare le anime a vivere la Fede e se, in Cadore, laici e sacerdoti hanno sempre (dico: sempre) sentito quale primario aiuto in ciò la figura istituzionale, unica nel suo genere, del loro arcidiacono, non ci sono problemi per non assecondarli.

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Il vescovo Giosuè Cattarossi (1914-1944)

Da: http://www.chiesabellunofeltre.it/giosue-cattarossi-1914-1944/

Nato a Cortale, piccolo borgo in comune di Reana del Rojale (Udine) il 23 aprile 1863, accompagnò il padre fornaio nell’emigrazione nella zona di Salisburgo. Entrato in Seminario a Udine, fu ordinato presbitero il 28 aprile 1888. Nominato vescovo di Albenga l’11 aprile 1911, fu consacrato vescovo il successivo 28 maggio nella cattedrale di Udine. Ma il 21 novembre 1913 fu trasferito alle diocesi [allora separate. N.d.R.] di Feltre e Belluno: il 26 luglio 1914 prese possesso canonico della diocesi di Feltre e l’8 agosto di quella di Belluno. Resse le due diocesi per trent’anni. Di pietà profonda, si dedicò con tutte le forze al ministero pastorale anche nei difficili periodi delle due Guerre mondiali. Venne amato soprattutto dal popolo.

Fu lui a ordinare sacerdote Albino Luciani, che molti anni dopo così lo ricordava: «…giovane sacerdote, ho visto quale fosse, nelle prediche, l’“impegno” del mio venerato vescovo mons. Cattarossi. Tirava fuori una piccola carta con su uno schema; se lo metteva davanti e, per lo più in cappella, vi pensava sopra a lungo; i pensieri, più che nella memoria, si preoccupava di agitarli nel cuore; provocandone effetti vivi, raccomandandosi a Dio; poi saliva il pulpito… Vedevo attenzione massima; qua e là, anche tra gli uomini, anche tra i professionisti, commozione visibile, qualche volta perfino lacrime; dopo la predica li sentivo dire: “Quello là, ci crede davvero!”. La forza che li aveva uncinati era nella dottrina esposta, ma anche nella unzione e nella convinzione dell’espositore» (A. Luciani, Lettera al clero sulla Quaresima. 28 marzo 1960, in Opera omnia II, 81).

Mons. Cattarossi morì ultraottantenne nel Vescovado di Belluno il 3 marzo 1944. I funerali si svolsero in cattedrale il 10 marzo successivo presieduto dal card. Piazza, Patriarca di Venezia [originario di Vigo di Cadore, che aveva collaborato alla definizione degli accordi con la Magnifica. N.d.R.], presenti i Vescovi del Veneto, numeroso clero ed una folla di popolo forse mai vista ad un funerale: nonostante il periodo bellico e le difficoltà di comunicazioni si calcola che vi abbiano partecipato non meno di ventimila persone. Con solenne corteo la salma fu trasportata nel Cimitero e tumulata nella tomba della Cappella riservata ai Vescovi. Vi rimase soltanto un anno perché il 23 aprile 1945 venne trasportata in cattedrale e sepolta davanti all’altare del santissimo Sacramento. Sopra vi è il suo stemma episcopale con iscrizione: «Qui dolcemente riposa Giosuè Cattarossi, udinese, dall’anno del Signore 1914 all’anno 1944 Vescovo e conte di Feltre e di Belluno, che, pastore buono e anima del gregge, tutti amò aiutò istruì; la sua pietà verso Dio e verso la patria lo rese illustre; il dolore di cittadini lo rimpiange; Dio lo coronerà di gloria. Nacque il 23 aprile 1863, morì il 3 marzo 1944».

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2 Risposte a “DON FLORIANO, L’arcidiacono del Cadore ha il diritto, ipso iure, di essere vicario foraneo del Cadore (eccettuato il Comèlico)”

  1. Caro don Floriano, la tua acutezza, la tua conoscenza della storia locale, specificatamente declinata nel diritto canonico, mettono maggiormente in risalto la pochezza dell’attuale Curia.

  2. A proposito dei detti riferiti all’asino, oltre al noto “qui casca l’asino” esiste anche un colorito proverbio friulano:

    A l’è inutil insegnà al mus, si piart tiemp, in plui, si infastidis la bestie.
    (E’ inutile insegnare all’asino, si perde tempo e in più si innervosisce la bestia.)

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