PARMA, Dilucidazione al dubbio intorno due opinioni del N.H. D. Tiepolo, I

«Dilucidazione al dubbio intorno due opinioni del conte Domenico Tiepolo nella seconda sua rettificazione alla Storia della Repubblica Veneta del Darù [sic!] mosso dall’articolo del Poligrafo di Verona del mese di maggio 1832 pag. 197-204, colla quale si esamina la risposta a quel dubbio, inserita nel Poligrafo stesso del mese di novembre 1832, pag. 221-253»: questo il titolo di un opuscoletto fatto stampare da Giacomo Parma a Verona, «Coi Tipi di P. Libanti 1833. Estratto dal Poligrafo Fascicolo XXXVIII – Agosto 1833». L’opuscolo, di Giacomo Parma, ha 38 pagine, delle quali 36 scritte, la II, XXXVII e XXXVIII in bianco. I lettori potranno leggerlo e scaricarlo al nostro link:Dilucidazione_al_dubbio_intorno_due_opin  –

Si vede che anche il conte Tiepolo aveva chi gli faceva presente le inesattezze. Una semplice nota linguistica: il però è usato da Giacomo Parma con il senso che aveva allora, come un nostro perciò; non come avversativo ma consecutivo.

TRASCRIZIONE

[ Parte iniziale ]

Chi mosse quel dubbio, non ha mai preteso di censurare le rettificazioni del chiarissimo Autore alla storia del Darù, ma soltanto di desiderare maggior schiarimenti sulle due opinioni pubblicate nella seconda.

1. Che fossero affatto deserte e spoglie di abitatori le isole e i lidi esterni dei nostri Estuarj, allorché sul cominciare del V secolo e. v., vi si condussero dal continente i veneti, fuggendo le stragi dei Barbari.

2. Che quei veneti fossero tutti nobili, ricchi ed ottimati; e da allora vi instituissero aristocratico il Governo.

Ma poiché il dubbio su quelle opinioni non viene abbastanza schiarito dalla risposta del Nob. Autore, sebbene dotta, ingegnosa ed anche prolissa, siane lecito nuove considerazioni soggiungere alle prime, e brevi per quanto gli sfuggevoli modi e i tanti versi, coi quali combatte egli quel dubbio, potranno permetterlo.

Nel sostenere la prima delle due opinioni il Nob. Autore rifiuta qualunque dimostrazione siasi fatta sulla esistenza e condizione delle venete lagune – isole – e lidi esterni e delle genti, che le abitavano all’epoca romana, perché gli scrittori di quell’epoca non ce ne stesero la storia; e con forzati ragionamenti vuol distrutti alcuni cenni, che ne tramandarono. A torto poi crede trattarsi in quel dubbio delle sole isole, sulle quali si formò la città di Venezia, quando col Filiasi si sono considerate sempre tutte quelle de’ veneti estuarj, che cogli esteriori loro lidi formarono la nazion Veneziana.

Stabilisce quindi 1. Essere incerta la esistenza della laguna a tempi Romani; 2. confondersi dal Filiasi, e dall’Autore dell’articolo del Poligrafo, gli esterni lidi colle spiagge del continente; 3. e la marittima Venezia con quella, che divenne poi veneziana; 4. interpretarsi erroneamente da entrambi i passi di Strabone e di Livio, che indicano l’estuario; 5. tace di quelli di Plinio e di Erodiano, che precisamente il dimostrano; 6. nessuna prova ammette che non sia scritta dai primi Cronisti e Storici Veneziani; 7. e poco curandosi dei lidi esterni e dei gruppi delle altre grandi isole, che ab antico aver dovevano genti negli estuarj, vuole che unicamente si si occupi  delle Realtine, sulle quali si fondò poscia Venezia. Rispondesi categoricamente.

PROVE DELL’ANTICA ESISTENZA

E CONDIZIONI DELLA LAGUNA.

Non solo i Geografi, anteriori a Strabone, ce la contrassegnano, ma la costante azione della natura ce la dimostra. Da che il globo si è separato in continenti ed in mari; che catene di alti monti ne formarono la ossatura; che da quelle precipitosi fiumi scesero al piano, e dove vasto e basso il rinvennero, si estesero in esso, e, prolungandolo in sottil lido, scorsero lentamente al mare, portandovi colle torbide loro acque minuta galleggiante sabbia, e finissimo limo ivi sempre laguna si formò. Protratte, oltre la foce dei fiumi, quelle torbide acque nel mare, vi vengono in esso respinte dal flusso, dai venti, e producono distanti dalle foci stesse, banchi, dunes, scanni, lidi esterni, volgendo l’uscita al mare delle acque fluviatili al lato opposto alla corrente costiera.

Così alla estremità del lungo mare Adriatico, dominato dai venti australi, la corrente costiera, lambendo le alte spiagge illiriche, dopo il seno Diomedeo, trovò il basso piano Aquilejese, Concordiese, Altinate, Patavino, Adriano, e di Oriente in Occidente scorrendo, volse a dritta le foci de’ tanti fiumi dalle alpi scendenti in quel largo piano, e combinandosi colla resistenza del flusso e de’ dominanti Libecci, ab antico generò lidi esterni, lagune, isole in esse dal Timavo al Po’.

Che poi alterazioni sieno succedute e succedano pel progressivo effetto dalle stesse cause, nel prolungamento del continente, nell’estensione della laguna, nella conformazione delle sue isole, nell’apertura dei lidi esterni; anche per straordinarie burrasche, per fenomeni terracquei, per la mano degli uomini; tuttociò non ha mai mutato l’effetto dell’azione costante della natura; e nella combinazione del Veneto continente col mare, sebben l’uno e l’altro si innalzino sempre, scanni, lagune, isole e lidi esterni sono ognora esistiti.

Determineremo quindi coi cenni degli Storici Romani la loro condizione, i loro limiti, le genti a quell’epoca; e come ne profitassero la Repubblica e l’Impero di Roma colle propinque commerciali fiorenti Città.

Descrizione delle Venezie, terrestre, marittima-veneziana.

Accusandone anche il dottissimo Filiasi, il Nob. Autore, spesso ci accusa di confondere i lidi esterni colle spiagge del continente, la terrestre colla marittima Venezia, e questa colla Veneziana. A scanso di ulteriori dubbiezze gli dichiareremo intendersi da noi.

Lidi esterni: que’ tratti di littorale, che separano il mare dalla interna laguna.

Spiagge: le estremità del continente, che il mare o la laguna bagna.

Venezia terrestre: sebbene anche altri e più vasti limiti le siano stati variamente assegnati, noi la circoscriviamo fra il Timavo, le Alpi, il Benaco, il Mincio, il Po’, ed il mare.

Venezia marittima: quella che con antiche, forti, opulenti, popolose, commerciali città; fondate presso la laguna, si estendeva dal Timavo ad Adria, e comprendeva come sue pertinenze gli estuarj, l’isole, e i lidi esterni sino al mare.

La Veneziana, in quelle pertinenze ristretta, non ebbe esistenza politica e distinta dalla prima, se non d’allora che i barbari, devastandola, la occuparono.

Qualsiasi però la definizione, che al Nob. Autore piacesse di dare alle Venezie; noi eviteremo d’ora innanzi litigiose questioni di nome, attenendoci a cose, e considerazioni gli estuarj veneti, ab antico esistenti, e le loro isole e lidi esterni in assidua relazione colle propinque città; sì nell’epoca romana, che poi, per quanto i barbari dopo il IV secolo dell’era volgare glielo concedessero, per la navigazione pel commercio, e per infiniti altri reciprochi servigj, comodi, e vantaggi.

Interpretazione del passo di Strabone lib. 5, c. 1.

Descrivendo quel geografo la nostra regione, al cui margine di lacuna esistevano le città di Aquileja, Concordia, Altino; 17 miglia dalla laguna distante Padova; quindi la Fossa Clodia; Brundulum al Littorale, Adria e Ravenna, ne fa conoscere tutta quella regione, partita da fiumi sboccanti in paludi: tota regio fluminibus atque paludibus, maxime Venetia referta est: e che la condizione di quei fiumi col mare vi ingenerasse al loro sbocco paludi, lo dimostra: soggiungendo; huic adest maris conditio, unde major campi pars (valli e paludi della laguna) marinis aquis plena stagnat: l’altra minore e superior parte di quei campi, che deductis irrigatur rivis: certamente non sarà stata fertilizzata colle acque marine; ma per fossi e canali dedotti dai fiumi, fossisque atque ageribus, sicut Egyptus inferior, deductis irrigatur rivis partim exiccatur (di stagni) et rusticorum cultu fructuosa est, partim navigantibus comoda. Ci vengono con ciò indicati i cavi ed altri canali, coi quali quelle città comunicavano fra loro, e coll’interno continente; e per la laguna col mare. Alcune delle marittime città però con d’attorno le irrigazioni e dedotti canali, e forse anche stagni di dolci acque, apparivano quasi isole; e dalla Fossa Clodia a Ravenna erano anche circondate da marine valli e da porti: Urbium vero pleraeque insularum modo cinguntur. Non per questo oltre di Aquileja, Concordia, ed Altino, il mare si internava, perché sul sodo margine della laguna erano state fondate, né oltre il lungo tratto della via romana che congiungeva le dette città, perché quella via, di cui dopo 2000 anni tuttor si ammirano grandiosi avanzi, era stata fondata al margine della laguna, su sodo terreno. Quindi a torto siamo avvisati di credere, che Strabone indicasse le isole de’ nostri estuarj quando descriveva le città di quella regione presso gli estuarj, stesse fondate.

Così siamo pure a torto accusati, che noi vorremmo dalla descrizione fattane da Strabone dello stato delle Venezie d’allora, trar alcuna deduzione per l’odierna città di Venezia, che è di tanti secoli posteriori. A noi basta il sapere, che lagune, isole e lidi fin da quel tempo esistessero; sui quali altre genti posteriormente unitesi, formassero, non già la sola Venezia, ma la nazion veneziana; e che le spiagge ed i margini interni della laguna, gli determinammo al tempo di Strabone da Aquileja ad Altino, non che fissatone i limiti entro i quali il mare poteva a’ romani tempi internarsi per tutto quel tratto.

Che se ci avverte il Nob. Autore, che la laguna bagnava allora le mura di Aquileja, noi appresso gli proveremo, che vi era da tre miglia distante; né oltrepassar le poteva, senza squarciare la via Romana.

Aveva porti nella laguna l’industre possente Padova grande emporio di panni e di manifatture: Pannorum et vestimento rum amplifaria manifactura (Strab.), smerciandoli essa al mare lungo il Medoaco, ed attraversando l’estuario. Padova aveva per esso navigazione al mare: a mari habet navigationem, fluvio per paludes pre[…] idem lib. 5. Padova alleata-socia, convive. Municipio di Roma prosperava per numerosissima popolazione, ubertà di suolo, ricchezza di commercio e di manifatture. Col mezzo del Medoaco mandava colle proprie barche ne’ suoi fondachi nelle isole Realtine ogni genere di granaglie, legname, canape, lino, armi, tappeti, ed ogni sorte di tessuti di grosse e fine lane. Fra que’ tessuti il più importante era quello di fitto raffollato laneggio col quale si facevano la Gausape, o toniche de’ soldati, che li difendevano dal freddo e dai dardi. Que’ generi e que’ manufatti i Padovani colle proprie navi mandavano dalle isole Realtine pel magno porto a Ravenna ed a Pesaro; onde di là per la via Flaminia venissero trasportati al mercato della Capitale del Mondo. Padova aveva pure collegio de’ fabbri di Centonarj o Dendrofori, o tessitori delle Gausape; Custos armorum, abili marinaj che equipaggiavano le proprie triremi; ed alcune lapidi riferite dall’Orsato li ricordano. Poteva dopo ciò Padova non valersi del Medoaco, del Magnu portu, e delle isole Realtine; lasciar oziosa la laguna? Chi può se lo creda. Noi intanto ricorderemo con Strabone, che multitudo mercium quos Romam ad mercatum mittunt Patavini, tum aliarum, tum vestimento rum, ostendit quantum ex viris et opibus ea urbs polleat: ed inviteremo chi ne volesse maggiori dimostrazioni a leggere la dotta dissertazione del Co. Gio. Domenico Polcastro sull’antico stato e condizione di Padova pubblicata l’anno 1811 in Milano dal chiariss. di lui nipote Co. Girolamo Senatore Polcastro; né ommetteremo di notare che ancorché fosse allora disarginato il Medoaco, e scorresse fra paludi non sia però men vero, che a tre miglia dalla sua interna foce Cleonimo rinvenisse borgate marittime distanti 14 miglia dalla città (Liv. Dec. 1. lib. X. cap. 11), e che per paludi Strabone intenda quelle, che il fiume stesso formavasi presso la laguna, per giungere fra gli esterni lidi al porto, percorre altre 13 miglia, ed in tutto 30 dalla città: Ducentis et quinquaginta a magno portu stadiis. Quel gran porto riceveva il nome di Medoaco, ed anche di Prealto dal Medoacus major che diveniva Praealtum lambendo le isole Realtine, e per quella apertura al littorale usciva in mare: Portus autem eodem quo fluvius nomine vocatur Medoacus; mutando nome e non sito quel porto, ne’ bassi tempi si chiamò Metamaucum, ed a nostri Malamocco; e si conservò sempre a circa 30 miglia distante da Padova; devesi poi considerare per piccolo porto della stessa Padova lo sbocco a Lizza Fusina nella nostra laguna del maggiore Medoaco, d’onde a ritroso rimontando per 17 miglia il fiume si giungeva alla città. Abbiamo quindi colle distanze assegnate da Strabone e da Livio fra i due porti e Padova l’indicazione precisa del margine; e quella di altre 30 miglia di laguna fino al magno porto; e tali distanze di poco si alterarono fino a dì nostri.

Che poi i porti di Adria e di Ravenna siensi col protendi mento del sottil loro lido allontanati 20 miglia rispetto alla prima, e di 7 rispetto alla seconda; ciò null’altro prova se non che la costante azione della natura, la quale non impedita su quella costa da venti dominanti, lasciò in molti tratti inalzare per accessione il suolo colle estese alluvioni – Fluminibus alluentibus – ed impedita in altri, come a Comacchio formò valli e laguna. Non creda però il Nob. Autore che noi abbiamo mai asserito, né vogliamo pertinacemente asserire, che dagli antichissimi tempi fino a’ nostri giorni non sieno accaduti alcuni mutamenti nell’interno della laguna e negli esterni suoi lidi per agestioni o congerie di sabbie del mare nelle Fuose ingressi di porti, per nuovi squarciamenti negli esterni lidi, per approfondimenti, e per interrimenti; né che gli interni margini, limitati dalla via Altinate, siensi in molti luoghi protratti; né che per le deviazioni de’ fiumi altre vicende abbia a’ nostri giorni subito la laguna: ma tuttociò non vale ad annullar la costante azione della natura, l’antica esistenza de’ nostri estuarj, e la essenzial loro condizione, comprovata anche dall’autorità di Strabone, alla quale aggiungeremo quella di Plinio, quindi l’altra di Livio.

Passo di Plinio lib. III.

E poiché interpretando Strabone abbiamo determinato i limiti interni della laguna da Aquileja ad Altino, passeremo in Brondolo al capo opposto della stessa laguna onde tracciarne le interne spiagge da quel porto ad Altino, per progredire poi dal lido di Brondolo stesso a dimostrare gli altri antichi esterni littorali fino a Grado.

Gli Etruschi, 12 secoli incirca avanti l’era cristiana, per iscolar dal territorio di Mantova (importante loro Lucumonia) le stagnanti acque del Tartaro, scavarno le fosse Carbonarie e le Filistine, e conducendole per le paludi Adriane, sboccar le fecero presso le foci dell’Adige e del Togisone al porto di Brondolo: proximum portum fecit Brundulum. Troviamo poi che collo scavamento artificiale eseguitosi dai Romani della Fossa Clodia, i due Medoaci si dirigevano a sinistra sopra due aperture del littorale, che stava rimpetto ad essa, cioè il minore colla fossa Clodia all’Edrone (ora porto di Chioggia) ed il maggiore al Prealtum o Malamocco di oggidì; sicut Edronem Medeaci duo et fossa Clodia (Plinio lib. III).

Esaminando il Tentori nel primo articolo della dissertazione della veneta laguna il suo fisico stato innanzi la fondazione della città di Venezia, conchiude colle geografiche nozioni lasciateci dagli scrittori Romani: che fra i porti di Edrone e il Prealto esisteva un lido esterno il quale copriva l’isola di Chioggia, la Popilia (Povegia) e le altre del superior estuario, e che al suo margine nel continente fino a Londo vi erano campi, prati, selve, boscaglie; quindi sodo terreno, sul quale veniva impedito l’ulteriore progresso del fiotto marino: e crede (pag. 31) senza difficoltà di molto anteriori al secolo V. e. v. le campagne di Lova, Lugo, Bondante, Logoletto, Piove di Sacco, Rosario, Campolongo ed altre ancora; dalla Fossa Clodia fino a Lizza Fusina. Noi intanto conchiuderemo con Plinio, che al principio del secondo secolo dell’era nostra fra lidi esterni esistevano aperture, le quali formavano i porti di Brundulum Edronem, Praealtum, per li quali uscivano gli scoli delle fosse Carbonarie Filistine, Clodie, i fiumi Adige e Togisono, e i due Medaci. Vedasi la carta dell’antica Venezia (Filiasi T. 3. Veneti primi et secundi).

Passo di Tito Livio (Decad. 1. Lib. X. C. 4.)

Non pago il nostro Autore di aver dubitato dell’antica esistenza della laguna, si studia ancora di annientare la descrizione, che fa Livio degli esterni lidi patavini. Conchiude egli, che la invasione di Cleonimo essendo di 7 secoli anteriore all’era veneziana, in quello spazio di tempo il mare avesse potuto distruggere quei lidi; e che ove l’isole Realtine fossero allora esistite, Livio l’avrebbe accennato. Egli crede che ognuno e in ogni tempo, com’egli fa, debba unicamente occuparsi di quelle isole, come se nei lidi al mare, ed in tanti altri gruppi di maggiori isole nella laguna, la nazion veneziana non avesse avuto sua origine. Oltrediché il racconto di Livio non somministrava a quello storico occasione di menzionarle; non dovendo egli descrivere che i siti dove approdò la flotta, la esplorazione de’ vicini luoghi, ed il progresso a ritroso del Medoaco delle minori navi di Cleonimo, non si può neppur asserire che indirettamente non accenni alle isole Realtine, nominando egli il porto ed il fiume di Prealtum che dalla maggiore di quelle isole prendevano il nome; ma ancorché fossero state da Livio del tutto ommesse non ne conseguita perciò che elleno, con altre isole non esistessero entro i littora Venetorum, né da quei lidi alla spiaggia una laguna non si stendesse. Nel narrare l’aggressione di Cleonimo, tre secoli dopo accaduta, non aveva uopo Livio di accennare le nostre isole, ma bensì il sottil lido disteso, gli interposti stagni, i campi sulle spiagge, e l’accesso al fiume quali a lui si afferivano quando egli scriveva. E un secolo dopo di Livio tali mostraronsi anche a Plinio; il perché combinandoli insieme l’Orsato, il Temanza, il Filiasi, il Tentori dedussero, qual si fosse la condizione de’ lidi esterni e dell’estuario tre secoli innanzi all’era de’ Veneziani. Né que’ nostri scrittori sono da credersi immeritevoli della fiducia del Nob. Autore. Imperocché essi con accurata indagine ricercarono la condizione della laguna ai tempi romani, e di tal modo usando supplirono, per quell’età, all’ignoranza de’ cronisti del X secolo, ed al silenzio degli storici Veneti del XIV; occupatisi questi soltanto della storia veneziana, cominciandola dal cominciare del V secolo. Quindi, sebben più recenti di loro, quegli indagatori vagliono meglio de’ primi, per farci conoscere lo stato delle lagune all’epoca romana.

Noi però deduremo con essi dal passo di Livio

1. Che nel 301 innanzi l’era volgare esistevano lidi de’ Veneti: ad littora Venetorum pervenit.

2. Che in quelli penetrò Cleonimo colle sue navi per il porto di Prealto: Ostium fluminis Prealti.

3. Che da lato vi si protende sottil lido: tenue pretentum litus.

4. Che le navi dietro a quello vi si aggiravano al sicuro presso la foce del fiume, qua circum agi naves in stationem tutam. Né si può inferire che quel porto fosse sul continente; poiché le acque del fiume non potevano scendere al mare che fra le aperture del littorale; e che poi quel magno portu distasse per 13 miglia dal margine della laguna ci fu dimostrato da Strabone.

5. Che dopo i lidi ed il porto vi fossero stagni – irriguis estibus marinis – quindi laguna non può meglio descriversi.

6. Che dopo quella laguna scorgevansi non lontano campagne, agros haud proximos campestres cerni.

7. Che non portando l’alveo del fiume – gravissimas naves non pertulit alveus fluminis – Cleonimo vi mandò a ritroso i suoi armati colle navi più leggiere: in leviora navigia trasgressa multitudo armatorum.

8. Che risalito per tre miglia il Medoaco gli Spartani si arrestarono scorgendo intorno agricoltori e borgate: Ibi egressi vicos espugnant.

A tal nuova la gioventù Padovana, formatasi in due colonne, circondò la stazione delle barche spartane, che era a 14 miglia lontana dalla città, ed impedendo ad esse il regresso, ed imbarazzando il nemico ne’ canali e pantani, intieramente lo sconfisse.

Dietro tale descrizione conviene anche il Nob. Autore, che il fiume sboccava allora in Altum fra i stagni, il sottil lido, ed i campi del continente, gli incresce però che non accenni Livio bassi fondi, come se cogli stagni irrigui al fiotto marino, e colla interna stazione delle navi non avesse le più essenziali condizioni delle lagune contrassegnate.

Sebben faccia sboccare il fiume in Altum, cioè fra gli esterni lidi, vorrebbe pure il Nob. Autore escludere da quelli la di lui foce, onde non aver uopo di loro; e poterne ricusare la esistenza, dopo di avercela prima in qualche modo concessa. Così gli verrebbe il destro e littorale, e sbocco del fiume fra le loro aperture e stazion sicura delle navi, e stagni, e campi, e borgate marittime, ed alveo, tutto sulla spiaggia agglomerare, senza combinare alcuna di quelle circostanze colla molesta laguna.

Ma poiché abbiamo con Plinio riconosciuta dal porto di Brondolo a quello dell’Edrone la esistenza di un lungo littorale, riconosciamo ora nel tenue litus di Livio quella di un altro lungo littorale dal porto di Edrone al susseguente di Prealto, per il quale, quel fiume, che era il Medoaco, attraversando per 13 miglia, secondo Strabone, la laguna, faceva uscire le sue acque in mare per il magno portu.

Quindi conchiuderemo col Tentori (Dissertaz. Sulle lagune pag. 31-35), che le coltivate campagne non lontane dal mare vedute dagli esploratori spartani erano quelle del Bondante di G. Illario, le quali estendevansi da Fossa Clodia a Lizza Fusina dove sboccava il Medoaco; e che il sito a tre miglia risalendo il fiume in cui si arrestarono le barche spartane, distante 14 miglia da Padova, era quello di Aureliaco (Oriago) che tuttor conserva quelle precise distanze, mentre la distanza da Padova al magno portu (o Malamocco) se non si fosse escluso il Brenta dalla laguna, sarebbe pure a’ nostri giorni di 30 miglia all’incirca, e di 13 dal margine della stessa.

[continua]

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